L’Umanesimo…

L’Umanesimo segna nella storia della cultura dell’umanità l’inizio di una nuova epoca. Nel mMedio Evo la vita dello spirito era diventata verticale ossia tutto era incentrato in Dio e nella chiesa. Con l’Umanesimo qualcosa cambia: l’uomo rivendica una sua autonomia e guarda con occhio diverso la natura. L’uomo prende coscienza delle sue capacità sia in ordine al sapere speculativo sia in ordine al suo potere nella natura. Si convince di poter fare da sé, inizia a fare le ricerche più disparate per costruire un mondo fatto con le sue mani. Il modello di questo uomo lo si rintraccia nell’antichità pre cristiana, greca e romana in quanto proprio allora aveva dato prova mirabile di se stesso senza alcun aiuto della Rivelazione. L’uomo nuovo si dichiara discepolo di quello antico e si sforza di riprodurre, imitare la grandezza e le gesta e si getta a capofitto nella ricerca e nello studio di tutto quello che avevano fatto gli antichi, specialmente in campo letterario, filosofico, artistico. Da qui quel mirabile fervore degli Studia Humanitatis, studio di tutto ciò di nuovo che aveva fatto grande e illustre l’uomo antico. Attenzione, è bene sottolineare che l’umanesimo non presenta alcun spirito antireligioso, anzi si può affermare che nasce in seno stesso degli uomini di Chiesa. Tuttavia l’assunto di voler far da se, sia il culto degli antichi pagani, nascondeva il germe di una rottura con il mondo cristiano, rottura che avverrà di lì a poco e che caratterizzerà i secoli successivi fino ai giorni nostri. Tornando all’Umanesimo e allo spirito di imitazione, ben presto prevale una vera e propria capacità di creazione e sarà il grandioso fenomeno del Rinascimento Italiano. Questa altra fase della storia dell’uomo è stata una sorta di rivoluzione che ha aperto le porte alla civiltà moderna, è stata una illuminazione progressiva in contrapposizione al buio medievale,. Il Rinascimento nasce in Italia per diffondersi in breve tempo in quasi tutta l’Europa.

Il lettore si chiederà:” Cosa c’entra questo con il diabete? Vuoi vedere che il Ferraro si farà aiutare dal solito Aristotele?”

Rispondiamo che non tanto si vuol disquisire sull’Umanesimo e Rinascimento del diabete, ma sul paziente diabetico di oggi, che sta attraversando questo periodo spesso in confusione tra Medio Evo, Umanesimo e Rinascimento. Per quello che riguarda Aristotele alla fine ovviamente è immancabile una sua citazione. Il diabete non è stato mai sottovalutato o considerato una piaga divina.

Gli antichi usavano questa terminologia particolare per descrivere la malattia perché erano stati sicuramente colpiti dalla caratteristica forse più evidente di questa malattia, cioè l’abbondante quantità di urina emessa ogni giorno da un diabetico, in termini tecnici la poliuria.

Già nel Medio Evo molti hanno studiato cercato di capire la matrice,e nei secoli successivi, sfiorando la soluzione, dando ad esempio la colpa alla salinità del sangue che allo zucchero, con i più grandi medici che da duemila anni a oggi ci hanno sbattuto la testa. Bisogna attendere il 1980 per una definizione, infatti l’ OMS definisce il diabete «uno stato di iperglicemia cronica sostenuto da fattori genetici ed esogeni che spesso agiscono insieme», definizione ultima derivante da numerosi e accurati studi su questa malattia che hanno portato a rintracciarne anche una componente ereditaria.

Il problema non è la patologia, ma il paziente e il suo contorno. Per quanto sappiamo che dal diabete non si guarisce, che dobbiamo seguire determinate regole, alle volte ci buttiamo a capofitto su speranze e sogni chimerici, da Medio Evo. Il diabetico può essere umanista o rinascimentale, è una scelta di vita se si fa proprio il concetto della propria posizione di diabetico. L’umanista va dal medico e pende dalle sue labbra, non prende decisioni e imita. Può andare bene. Il paziente rinascimentale è quello che segue il medico ma prende anche delle decisioni abbattendo certi pregiudizi sociali, come ad esempio l’antiesteticità del microinfusore. Si batte per gli altri per la prevenzione del diabete, non si vergognarsi della propria posizione e soprattutto che il diabete non è una malattia e nemmeno contagiosa ma un qualcosa con il quale convivere senza rinunciare a nulla, l’importante è il giusto mezzo aristotelico. Il paziente rinascimentale deve creare la politica diabetica, e a proposito di politica si cita testualmente il nostro amico Aristotele dal primo libro dell’Etica Nicomachea:

 

“Tale è, manifestamente, la politica. Infatti, è questa che stabilisce quali scienze è necessario coltivare nelle città, e quali ciascuna classe di cittadini deve apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le più apprezzate capacità, come, per esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono subordinate ad essa. E poiché è essa che si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce, inoltre, per legge che cosa si deve fare, e da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine abbraccerà i fini delle altre, cosicché sarà questo il bene per l’uomo. Infatti, se anche il bene è il medesimo per il singolo e per la città, è manifestamente qualcosa di più grande e di più perfetto perseguire e salvaguardare quello della città: infatti, ci si può, sì, contentare anche del bene di un solo individuo, ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città. La nostra ricerca mira appunto a questo, dal momento che è una ricerca “politica”.”

In sintesi è quello che avviene o dovrebbe avvenire in tante associazioni della FAND, come la nostra Diabaino, che non vendono speranze, ma certezze che con il diabete vivere si può!

Si dedica questo scritto al grande prof. Santi Lo giudice, che ci ha lasciato in punta di piedi nel mese di agosto. Filosofo teoretico, che ha insegnato a pensare liberamente a numerose generazioni, amico discreto della Diabaino, e ci piace ricordarlo così, come ogni volta che chiedeva: “dov’è quella gran donna e scienziata di Antonella Ferraro?”

 Prof. Carmelo FERRARO