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- Storia del Diabete
COSA E’ IL DIABETE?
Il diabete (meglio definito come “diabete mellito”) è una condizione caratterizzata da un patologico aumento della concentrazione di zucchero nel sangue (glucosio), ci colpisce quando il nostro corpo non e più capace di utilizzare il glucosio e lo accumula alzando la glicemia.
Esistono due forme principali di diabete:
il diabete di tipo 1 (che in genere colpisce bambini ed adolescenti, ma anche adulti) nel quale il corpo non è più capace di produrre insulina e per vivere si ha bisogno di somministrarla con piccole iniezioni;
Il diabete di tipo 2 (che di solito colpisce gli adulti, ma l’età di insorgenza si sta sempre più abbassando) nel quale il nostro corpo utilizza male l’insulina che produce, spesso in modo inadeguato.
Il 90% dei pazienti è affetto da questo tipo di diabete. Esso può essere curato con semplici modifiche nello stile di vita, ma spesso è necessario usare farmaci e, talvolta, insulina.
I NUMERI DEL DIABETE IN ITALIA E NEL MONDO:
Il diabete non dà sintomi, solo se la glicemia è alta si può avere:
FATTORI DI RISCHIO
Sei a rischio di sviluppare il Diabete (di tipo 2) se:
In ogni caso, al di sopra dei 40 anni è opportuno controllare la glicemia, da ripetere, se normale, ogni tre anni. Infatti quanto più precoce è la diagnosi, tanto più efficace è la terapia mirata alla prevenzione delle complicanze croniche, che sono tutte le malattie dei reni, cuore, occhi, piedi, legate alla presenza dei diabete.
L‘ OBESITA’
L’obesità si manifesta quando nell’organismo aumentano le dimensioni o il numero delle cellule adipose, cioè di quelle cellule che contengono grassi. Quando una persona aumenta di peso, in primo luogo nelle cellule adipose si accumula più grasso e pertanto esse diventano più grandi. In questa fase è possibile, con una alimentazione adeguata e con una vita non sedentaria, tornare indietro.
Proseguendo nell’aumento di peso, invece, le cellule adipose non solo diventano più grandi, ma aumentano anche di numero.
In questa fase il ritorno alla situazione di normalità è molto più difficile, ma è comunque dimostrato che una riduzione del peso (con alimentazione adeguata e attività fisica regolare) riduce notevolmente il rischio dell’insorgenza di malattie legate all’obesità.
Queste sono rappresentate principalmente da diabete, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari (infarto, ictus, insufficienza cardiaca), malattie osteoarticolari, neoplasie.
Appare pertanto evidente come, anche per l’obesità è importante intervenire precocemente con la prevenzione. Per l’obesità non esistono veri e propri fattori di rischio, anche se certamente essa può presentarsi più facilmente con l’aumento dell’età, se una persona ha un’alimentazione scorretta, ricca di grassi e scarsa di verdure, se ha una vita sedentaria, se nella sua famiglia vi sono altre persone obese, se si vivono situazioni particolarmente stressanti.
Fattori psicologici e adattamento alla malattia nel paziente con diabete
a cura della Dott.ssa Caterina Bova
Il diabete mellito è al momento la malattia metabolica più diffusa in età evolutiva, e per la sua specificità, si configura come un modello particolarmente adatto a descrivere le caratteristiche di una malattia cronica.
Secondo l’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO), nel nostro Paese sono circa 3,6 milioni le persone che soffrono di diabete, l’8% della popolazione. Dato questo in costante aumento considerato che un ulteriore 4% della popolazione, circa 1,8 milioni di persone, sono a rischio di svilupparla, poiché presentano una ridotta tolleranza al glucosio (IGT, impaired glucose tolerance), una sorta di stato di prediabete.
La terapia del diabete richiede al soggetto che ne è affetto un’incessante autogestione, imponendo una terapia particolarmente onerosa sia per la durata, sia per il rigido regime di controllo che interessa molti aspetti della vita quotidiana.
Il successo di un programma terapeutico non dipende dalle medicine prescritte dal diabetologo ma dalle informazioni che il paziente diabetico ha ricevuto e dalla sua capacità di utilizzarle (imparare a confrontare quantità di insulina, livelli di glicemia, dieta e attività fisica).
Nonostante siano stati fatti numerosi passi avanti per la terapia del diabete, offrendo cosi ai pazienti svariate e sempre nuove sinergie terapeutiche, ancora rimane alto il numero di soggetti colpiti dalle complicanze legate alla patologia (retinopatia, neuropatia, cardiopatia, piede diabetico etc.)
In seguito alla diagnosi, inizia la fase di adattamento alla malattia, la quale dipende dal tipo di strategie che il paziente mette in atto per affrontare tale evento.
Strategie comportamentali che favoriscono una modalità attiva e di confronto con le problematiche che derivano dalla malattia, portano ad un migliore adattamento, rispetto a comportamenti di passività caratterizzati da sentimenti di impotenza e disperazione.
Sono numerosi i fattori individuali e psicologici che influenzano l’adattamento e la gestione terapeutica di questa malattia tra i quali la tipologia di personalità del paziente, la presenza di disturbi psichici concomitanti (ansia, depressione etc.) i bisogni, i conflitti e le motivazione inconsce.
Tra i vari aspetti che influenzano il processo di adattamento alla malattia troviamo:
In Vacanza con il Diabete di tipo Mio… esperienze dal soggiorno educativo
a cura della Dott.ssa Caterina Bova
Anche quest’anno, dopo un’esperienza lunga 17 anni, l’associazione Diabaino Vip Vip dello Stretto, ha organizzato un soggiorno educativo dal titolo il “In Vacanza con il Diabete di tipo Mio” svolto nella settimana dal 8 al 15 Agosto presso il Villaggio Baia d’Ercole di Ricadi. Il titolo scelto non è casuale e sta a sottolineare come una patologia come il Diabete, che obbliga chi ne è affetto ad acquisire nuove abitudini e a modificare il proprio comportamento, imparando a gestire nel quotidiano controllo della glicemia, terapia farmacologica e alimentazione, ha un peso soggettivo diverso per ognuno. Riflettere sul peso soggettivo che la malattia ha per il singolo soggetto è di fondamentale importanza per comprendere come mai alcuni pazienti non riescono ad avere una buona gestione della malattia, nonostante siano in possesso di tutte le informazioni e le conoscenze per curarsi e poter infine realizzare percorsi formativi individuali e differenziati, basati sulle specifiche esigenze di ciascuno. Il programma del soggiorno organizzato dallo staff della Diabaino ha avuto come obiettivo attraverso vari momenti educativi e opportunità di nuovi insegnamenti, la scoperta da parte dei ragazzi delle proprie capacità, di quelle risorse, necessarie per affrontare le sfide quotidiane, giungendo ad una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità e ad una migliore gestione del proprio diabete.
Autocontrollo e autogestione sono stati i principali argomenti di confronto: durante i vari incontri giornalieri si è trattato del riconoscimento e del trattamento delle ipoglicemie, del calcolo dei carboidrati, utilizzabile sia da chi utilizza il microinfusore sia per chi segue una terapia multiiniettiva e dell’adattamento della dieta all’attività sportiva. Inoltre si è discusso sul rapporto che ognuno ha con il proprio diabete e sulle paure legate ad esso attraverso lo scambio delle esperienze positive o negative di ciascuno. Durante questa settimana inoltre non sono mancati momenti trascorsi in spiaggia tra giochi e bagni, ore di relax in piscina e piacevoli serate passate tutti insieme con la partecipazione alle varie attività di animazione serale del villaggio. La partecipazione ad un soggiorno, oltre ad avere un valore sul piano educativo, nell’insegnare ai partecipanti come poter vivere meglio la quotidianità del diabete, contribuisce ad istaurare nuovi rapporti, provare emozioni e infine sperimentare coraggio favorendo il superamento di tensioni causate da insicurezze e paure che una malattia cronica comporta e non per ultimo costituisce un’occasione di arricchimento professionale per l’intera equipe che hanno la possibilità di osservare i ragazzi e le loro famiglie anche al di fuori dell’ambiente ambulatoriale e consolidare il rapporto con loro.
La possibilità di “vivere insieme” per alcuni giorni, fare domande e parlare dei propri problemi a persone che affrontano situazioni simili, condividere con loro ansie e raccontare i propri successi, costituisce per i nostri ragazzi e per le loro famiglie, un’occasione per sentirsi liberi a conoscere come ci si cura per potersi curare da soli e ricostruire il controllo sulla propria vita, sentendosi fautori del proprio destino.

Il diabete mellito nell’anziano.
a cura della Dott.ssa Mariantonella Ferraro, diabetologa
Il progressivo aumento della durata della vita ha determinato un incremento del numero di soggetti anziani con relativo aumento delle patologie cronico-degenerative tra cui il diabete mellito di tipo 2.
In europa il paese con la più alta prevalenza di diabete di tipo 2 nella popolazione anziana ultra sessantacinquenne è la finlandia con il 35%. in italia, la percentuale è più bassa, intorno al 6-8%, ma è costretta a crescere in considerazione del numero in aumento di soggetti adulti affetti da tale patologia. il diabete mellito è largamente trattato.
Nelle diverse fasi della vita come nell’infanzia, nella gravidanza e nell’età adulta, ma spesso manca l’approfondimento di tale argomentoriferito all’anziano.
FATTORI che contribuiscono allo sviluppo del diabete nell’anziano sono rappresentati da modificazioni fisiologiche che avvengono per l’invecchiamento dell’organismo, come la diminuzione della secrezione di insulina, una maggiore insulino-resistenza, l’aumento di peso con aumento della massa grassa, fattori genetici. Inoltre una diminuzione dell’attività fisica, la coesistenza di polipatologia e la contemporanea assunzione di più farmaci rendono la popolazione anziana più vulnerabile allo sviluppo di tale malattia.
Si aggiungono a tali fattori le precarie condizioni socio- ambientali, l’isolamento relazionale, la presenza di alterazioni affettive e comportamentali, che spesso sfociano nel ricovero permanente in istituto.
L’alterazione del metabolismo dei carboidrati negli anziani include sia la perdita del rilascio precoce dell’insulina (nella maggioranza dei soggetti) sia l’insulino- resistenza a seconda del peso dei pazienti. Infatti si è notato che l’insulino- resistenza è presente nei soggetti anziani obesi, la diminuzione del rilascio insulinico interviene in soggetti anziani magri. Inoltre è riportato che nell’anziano magro possono essere riscontrati anticorpi contro le cellule insulari, analogamente a quanto si riscontra nel diabete di tipo autoimmune del giovane. Quindi entrambi i tipi di diabete, tipo 1 (insulinodipendente) e tipo 2 (non insulino-dipendente), possono essere presenti, anche nei pazienti di prima diagnosi in età senile.
La diagnosi del diabete nell’anziano non è sempre facilmente eseguibile come nel soggetto adulto, in quanto la presenza di malattie concomitanti in qualche modo contribuiscono ad una sottostima del problema. Infatti i classici sintomi della poliuria (aumento della diuresi), polidipsia (aumento della sete), polifagia (aumento della fame) possono essere anche del tutto assenti e sostituiti da sintomi molto più generali come astenia, perdita di peso e nicturia (diuresi notturna) o pollachiuria (aumento della frequenza dell’emissione di diuresi spesso imputata ad ipertrofia prostatica).
Una marcata iperglicemia può essere presente solo saltuariamente mentre più frequente è la presenza di infezioni batteriche o micotiche (cutanee o genito-urinarie).
Di frequente il diabete nel soggetto anziano può manifestarsi direttamente con la presenza di una sua complicanza di tipo macroangiopatica (in particolar modo l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale) o in qualche caso con la riduzione del visus (per la retinopatia diabetica associata o meno a cataratta) o della funzione renale.
Le differenze fondamentali per quanto riguarda la sintomatologia che intercorrono tra il soggetto adulto e quello anziano è la carenza di glicosuria, ad eccezione, in alcuni casi, ad una importante iperglicemia e/o polidipsia. La carenza di glicosuria è essenzialmente dovuta ad un innalzamento età dipendente della soglia renale che ovviamente non permette al glucosio di comparire nelle urine quando il valore della glicemia è uguale o di poco superiore a 180 mg/dl.
Nel soggetto anziano vi è una graduale ma significativa riduzione della sensibilità dei centri ipotalamici alle variazioni osmotiche, tutto ciò si traduce in una riduzione del senso di sete e quindi in una diminuzione degli introiti di liquidi. Tale manifestazione persiste, provocando una minor capacità di compensare l’eventuale aumento delle perdite di liquidi attraverso l’apparato renale con un incremento del consumo di liquidi.
Per tale motivo quando il soggetto anziano è esposto per molto tempo ad elevati valori di iperglicemia, ha maggiori possibilità rispetto all’adulto di andare incontro a disidratazione e quindi a coma iperosmolare. A causa di questo sfumato quadro clinico, il diabete mellito può manifestarsi direttamente con complicanze quali: l’infarto del miocardio o l’ictus cerebrale.
È infatti nozione comune che molti pazienti che arrivano in ospedale per quadri anche gravi di infarto del miocardio o ictus non sono a conoscenza di essere diabetici, pertanto il quadro clinico di esordio è proprio quello della complicanza acuta.
Il diabete (meglio definito come “diabete mellito”) è una condizione caratterizzata da un patologico aumento della concentrazione di zucchero nel sangue (glucosio), ci colpisce quando il nostro corpo non e più capace di utilizzare il glucosio e lo accumula alzando la glicemia.
Esistono due forme principali di diabete:
il diabete di tipo 1 (che in genere colpisce bambini ed adolescenti, ma anche adulti) nel quale il corpo non è più capace di produrre insulina e per vivere si ha bisogno di somministrarla con piccole iniezioni;
Il diabete di tipo 2 (che di solito colpisce gli adulti, ma l’età di insorgenza si sta sempre più abbassando) nel quale il nostro corpo utilizza male l’insulina che produce, spesso in modo inadeguato.
Il 90% dei pazienti è affetto da questo tipo di diabete. Esso può essere curato con semplici modifiche nello stile di vita, ma spesso è necessario usare farmaci e, talvolta, insulina.
I NUMERI DEL DIABETE IN ITALIA E NEL MONDO:
- più di 170 milioni di persone nel mondo sono affette da diabete.
- Questo numero è destinato a crescere in modo esponenziale nei prossimi anni soprattutto nei Paesi industrializzati, in conseguenza non solo dell’aumento della popolazione e della durata media di vita, ma anche della mancanza di esercizio fisico e dell’alimentazione poco corretta.
- Nel 2025 ci saranno 300 milioni di diabetici.
- Più di 3 milioni di italiani soffrono di diabete ed i milione non lo sa.:
- oltre i 40 anni, un italiano su tre è a rischio di diabete e quasi uno su cinque è già pre-diabetico (IFG o 1GT).
Il diabete non dà sintomi, solo se la glicemia è alta si può avere:
- sete intensa ed insolita
- frequente bisogno di urinare ‑ dimagrimento inspiegabile ‑ disturbi della vista ‑ facile stancabilità
FATTORI DI RISCHIO
Sei a rischio di sviluppare il Diabete (di tipo 2) se:
- hai parenti diabetici (in particolare genitori, fratelli o sorelle, o figli)
- sei obeso o in sovrappeso (ovvero hai il BMI, indice di massa corporea, maggiore di 25 ma anche se hai la circonferenza vita maggiore di 88 cm per le donne o di 102 cm per gli uomini)
- hai la pressione alta o prendi medicine per la pressione alta hai il colesterolo buono basso (HDL) e hai i grassi nel sangue (trigliceridi) elevati e sei donna e hai avuto il diabete in gravidanza o partorito figli superiori ai 4 kg.
In ogni caso, al di sopra dei 40 anni è opportuno controllare la glicemia, da ripetere, se normale, ogni tre anni. Infatti quanto più precoce è la diagnosi, tanto più efficace è la terapia mirata alla prevenzione delle complicanze croniche, che sono tutte le malattie dei reni, cuore, occhi, piedi, legate alla presenza dei diabete.
L‘ OBESITA’
L’obesità si manifesta quando nell’organismo aumentano le dimensioni o il numero delle cellule adipose, cioè di quelle cellule che contengono grassi. Quando una persona aumenta di peso, in primo luogo nelle cellule adipose si accumula più grasso e pertanto esse diventano più grandi. In questa fase è possibile, con una alimentazione adeguata e con una vita non sedentaria, tornare indietro.
Proseguendo nell’aumento di peso, invece, le cellule adipose non solo diventano più grandi, ma aumentano anche di numero.
In questa fase il ritorno alla situazione di normalità è molto più difficile, ma è comunque dimostrato che una riduzione del peso (con alimentazione adeguata e attività fisica regolare) riduce notevolmente il rischio dell’insorgenza di malattie legate all’obesità.
Queste sono rappresentate principalmente da diabete, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari (infarto, ictus, insufficienza cardiaca), malattie osteoarticolari, neoplasie.
Appare pertanto evidente come, anche per l’obesità è importante intervenire precocemente con la prevenzione. Per l’obesità non esistono veri e propri fattori di rischio, anche se certamente essa può presentarsi più facilmente con l’aumento dell’età, se una persona ha un’alimentazione scorretta, ricca di grassi e scarsa di verdure, se ha una vita sedentaria, se nella sua famiglia vi sono altre persone obese, se si vivono situazioni particolarmente stressanti.
Fattori psicologici e adattamento alla malattia nel paziente con diabete
a cura della Dott.ssa Caterina Bova
Il diabete mellito è al momento la malattia metabolica più diffusa in età evolutiva, e per la sua specificità, si configura come un modello particolarmente adatto a descrivere le caratteristiche di una malattia cronica.
Secondo l’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO), nel nostro Paese sono circa 3,6 milioni le persone che soffrono di diabete, l’8% della popolazione. Dato questo in costante aumento considerato che un ulteriore 4% della popolazione, circa 1,8 milioni di persone, sono a rischio di svilupparla, poiché presentano una ridotta tolleranza al glucosio (IGT, impaired glucose tolerance), una sorta di stato di prediabete.
La terapia del diabete richiede al soggetto che ne è affetto un’incessante autogestione, imponendo una terapia particolarmente onerosa sia per la durata, sia per il rigido regime di controllo che interessa molti aspetti della vita quotidiana.
Il successo di un programma terapeutico non dipende dalle medicine prescritte dal diabetologo ma dalle informazioni che il paziente diabetico ha ricevuto e dalla sua capacità di utilizzarle (imparare a confrontare quantità di insulina, livelli di glicemia, dieta e attività fisica).
Nonostante siano stati fatti numerosi passi avanti per la terapia del diabete, offrendo cosi ai pazienti svariate e sempre nuove sinergie terapeutiche, ancora rimane alto il numero di soggetti colpiti dalle complicanze legate alla patologia (retinopatia, neuropatia, cardiopatia, piede diabetico etc.)
In seguito alla diagnosi, inizia la fase di adattamento alla malattia, la quale dipende dal tipo di strategie che il paziente mette in atto per affrontare tale evento.
Strategie comportamentali che favoriscono una modalità attiva e di confronto con le problematiche che derivano dalla malattia, portano ad un migliore adattamento, rispetto a comportamenti di passività caratterizzati da sentimenti di impotenza e disperazione.
Sono numerosi i fattori individuali e psicologici che influenzano l’adattamento e la gestione terapeutica di questa malattia tra i quali la tipologia di personalità del paziente, la presenza di disturbi psichici concomitanti (ansia, depressione etc.) i bisogni, i conflitti e le motivazione inconsce.
Tra i vari aspetti che influenzano il processo di adattamento alla malattia troviamo:
- Aspetti emotivi: riguardano il significato personale dell’esperienza che il paziente vive con la malattia e i sentimenti che accompagnano il processo di accettazione (rabbia, angoscia, rifiuto);
- Aspetti cognitivi: credenze e le rappresentazioni personali che il paziente ha nei confronti del diabete e delle terapie prescritte, aspetti questi che oltre ad influenzare i tempi e le modalità d’accesso ai servizi sanitari, caratterizzeranno anche il modo in cui il paziente parteciperà alle decisioni terapeutiche e ai processi di cura.
- Età di insorgenza: fattore che incide trasversalmente sul modo in cui il paziente reagisce alla malattia Una diagnosi in età pediatrica comporta che la gestione della malattia sia affidata totalmente alla famiglia, che diventa così il principale filtro attraverso il quale il bambino vive la malattia. Al contrario, durante l’adolescenza, periodo caratterizzato da un processo di ristrutturazione rispetto all’immagine di sé dell’infanzia, una diagnosi di diabete può scontrarsi con il naturale desiderio di autonomia e indipendenza caratteristiche di questa fase di vita.
- Contesto sociale: dal momento che la malattia risente anche di aspetti relazionali, i quali fanno da cassa di risonanza all’esperienza soggettiva della perdita di salute e influenzano il modo di reagire alla malattia, di interpretarla e prendere provvedimenti contro questa determinando tempi e modalità di ricorso alle cure mediche.
In Vacanza con il Diabete di tipo Mio… esperienze dal soggiorno educativo
a cura della Dott.ssa Caterina Bova
Anche quest’anno, dopo un’esperienza lunga 17 anni, l’associazione Diabaino Vip Vip dello Stretto, ha organizzato un soggiorno educativo dal titolo il “In Vacanza con il Diabete di tipo Mio” svolto nella settimana dal 8 al 15 Agosto presso il Villaggio Baia d’Ercole di Ricadi. Il titolo scelto non è casuale e sta a sottolineare come una patologia come il Diabete, che obbliga chi ne è affetto ad acquisire nuove abitudini e a modificare il proprio comportamento, imparando a gestire nel quotidiano controllo della glicemia, terapia farmacologica e alimentazione, ha un peso soggettivo diverso per ognuno. Riflettere sul peso soggettivo che la malattia ha per il singolo soggetto è di fondamentale importanza per comprendere come mai alcuni pazienti non riescono ad avere una buona gestione della malattia, nonostante siano in possesso di tutte le informazioni e le conoscenze per curarsi e poter infine realizzare percorsi formativi individuali e differenziati, basati sulle specifiche esigenze di ciascuno. Il programma del soggiorno organizzato dallo staff della Diabaino ha avuto come obiettivo attraverso vari momenti educativi e opportunità di nuovi insegnamenti, la scoperta da parte dei ragazzi delle proprie capacità, di quelle risorse, necessarie per affrontare le sfide quotidiane, giungendo ad una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità e ad una migliore gestione del proprio diabete.
Autocontrollo e autogestione sono stati i principali argomenti di confronto: durante i vari incontri giornalieri si è trattato del riconoscimento e del trattamento delle ipoglicemie, del calcolo dei carboidrati, utilizzabile sia da chi utilizza il microinfusore sia per chi segue una terapia multiiniettiva e dell’adattamento della dieta all’attività sportiva. Inoltre si è discusso sul rapporto che ognuno ha con il proprio diabete e sulle paure legate ad esso attraverso lo scambio delle esperienze positive o negative di ciascuno. Durante questa settimana inoltre non sono mancati momenti trascorsi in spiaggia tra giochi e bagni, ore di relax in piscina e piacevoli serate passate tutti insieme con la partecipazione alle varie attività di animazione serale del villaggio. La partecipazione ad un soggiorno, oltre ad avere un valore sul piano educativo, nell’insegnare ai partecipanti come poter vivere meglio la quotidianità del diabete, contribuisce ad istaurare nuovi rapporti, provare emozioni e infine sperimentare coraggio favorendo il superamento di tensioni causate da insicurezze e paure che una malattia cronica comporta e non per ultimo costituisce un’occasione di arricchimento professionale per l’intera equipe che hanno la possibilità di osservare i ragazzi e le loro famiglie anche al di fuori dell’ambiente ambulatoriale e consolidare il rapporto con loro.
La possibilità di “vivere insieme” per alcuni giorni, fare domande e parlare dei propri problemi a persone che affrontano situazioni simili, condividere con loro ansie e raccontare i propri successi, costituisce per i nostri ragazzi e per le loro famiglie, un’occasione per sentirsi liberi a conoscere come ci si cura per potersi curare da soli e ricostruire il controllo sulla propria vita, sentendosi fautori del proprio destino.

Il diabete mellito nell’anziano.
a cura della Dott.ssa Mariantonella Ferraro, diabetologa
Il progressivo aumento della durata della vita ha determinato un incremento del numero di soggetti anziani con relativo aumento delle patologie cronico-degenerative tra cui il diabete mellito di tipo 2.
In europa il paese con la più alta prevalenza di diabete di tipo 2 nella popolazione anziana ultra sessantacinquenne è la finlandia con il 35%. in italia, la percentuale è più bassa, intorno al 6-8%, ma è costretta a crescere in considerazione del numero in aumento di soggetti adulti affetti da tale patologia. il diabete mellito è largamente trattato.
Nelle diverse fasi della vita come nell’infanzia, nella gravidanza e nell’età adulta, ma spesso manca l’approfondimento di tale argomentoriferito all’anziano.
FATTORI che contribuiscono allo sviluppo del diabete nell’anziano sono rappresentati da modificazioni fisiologiche che avvengono per l’invecchiamento dell’organismo, come la diminuzione della secrezione di insulina, una maggiore insulino-resistenza, l’aumento di peso con aumento della massa grassa, fattori genetici. Inoltre una diminuzione dell’attività fisica, la coesistenza di polipatologia e la contemporanea assunzione di più farmaci rendono la popolazione anziana più vulnerabile allo sviluppo di tale malattia.
Si aggiungono a tali fattori le precarie condizioni socio- ambientali, l’isolamento relazionale, la presenza di alterazioni affettive e comportamentali, che spesso sfociano nel ricovero permanente in istituto.
L’alterazione del metabolismo dei carboidrati negli anziani include sia la perdita del rilascio precoce dell’insulina (nella maggioranza dei soggetti) sia l’insulino- resistenza a seconda del peso dei pazienti. Infatti si è notato che l’insulino- resistenza è presente nei soggetti anziani obesi, la diminuzione del rilascio insulinico interviene in soggetti anziani magri. Inoltre è riportato che nell’anziano magro possono essere riscontrati anticorpi contro le cellule insulari, analogamente a quanto si riscontra nel diabete di tipo autoimmune del giovane. Quindi entrambi i tipi di diabete, tipo 1 (insulinodipendente) e tipo 2 (non insulino-dipendente), possono essere presenti, anche nei pazienti di prima diagnosi in età senile.
La diagnosi del diabete nell’anziano non è sempre facilmente eseguibile come nel soggetto adulto, in quanto la presenza di malattie concomitanti in qualche modo contribuiscono ad una sottostima del problema. Infatti i classici sintomi della poliuria (aumento della diuresi), polidipsia (aumento della sete), polifagia (aumento della fame) possono essere anche del tutto assenti e sostituiti da sintomi molto più generali come astenia, perdita di peso e nicturia (diuresi notturna) o pollachiuria (aumento della frequenza dell’emissione di diuresi spesso imputata ad ipertrofia prostatica).
Una marcata iperglicemia può essere presente solo saltuariamente mentre più frequente è la presenza di infezioni batteriche o micotiche (cutanee o genito-urinarie).
Di frequente il diabete nel soggetto anziano può manifestarsi direttamente con la presenza di una sua complicanza di tipo macroangiopatica (in particolar modo l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale) o in qualche caso con la riduzione del visus (per la retinopatia diabetica associata o meno a cataratta) o della funzione renale.
Le differenze fondamentali per quanto riguarda la sintomatologia che intercorrono tra il soggetto adulto e quello anziano è la carenza di glicosuria, ad eccezione, in alcuni casi, ad una importante iperglicemia e/o polidipsia. La carenza di glicosuria è essenzialmente dovuta ad un innalzamento età dipendente della soglia renale che ovviamente non permette al glucosio di comparire nelle urine quando il valore della glicemia è uguale o di poco superiore a 180 mg/dl.
Nel soggetto anziano vi è una graduale ma significativa riduzione della sensibilità dei centri ipotalamici alle variazioni osmotiche, tutto ciò si traduce in una riduzione del senso di sete e quindi in una diminuzione degli introiti di liquidi. Tale manifestazione persiste, provocando una minor capacità di compensare l’eventuale aumento delle perdite di liquidi attraverso l’apparato renale con un incremento del consumo di liquidi.
Per tale motivo quando il soggetto anziano è esposto per molto tempo ad elevati valori di iperglicemia, ha maggiori possibilità rispetto all’adulto di andare incontro a disidratazione e quindi a coma iperosmolare. A causa di questo sfumato quadro clinico, il diabete mellito può manifestarsi direttamente con complicanze quali: l’infarto del miocardio o l’ictus cerebrale.
È infatti nozione comune che molti pazienti che arrivano in ospedale per quadri anche gravi di infarto del miocardio o ictus non sono a conoscenza di essere diabetici, pertanto il quadro clinico di esordio è proprio quello della complicanza acuta.

Diabete. Ecco gli esami periodici da fare consigliati dagli esperti.
La Sid (Società Italiana di Diabetologia),ha deciso di redigere un position statement sull’appropriatezza delle prescrizioni degli esami strumentali alle persone con diabete, principalmente in relazione alla diagnosi, allo screening e al monitoraggio delle complicanze diabetiche. L’obiettivo è fornire raccomandazioni solide, sostenute da prove scientifiche e dirette ai diabetologi, agli specialisti di altre discipline e ai medici di famiglia.
Ecco gli esami consigliati e la relativa frequenza
Esame Strumentale | Frequenza Consigliata |
---|---|
ECG a riposo | Annuale |
Ecocardiografia color-doppler trans-toracica a riposo | - Entro 3 anni dalla diagnosi di diabete tipo 2 - Nei diabetici tipo 1 di età >40 anni |
Screening nefropatiadiabetica: - Biopsia renale - Ecografia e color-doppler |
- eGFR<60ml/min/1.73m2 - proteinuria in range nefrosico o riduzione della funzione renale in assenza di retinopatia diabetica - proteinuria in range nefrosico o riduzione della funzione renale in soggetti con durata del diabete inferiore a 5 anni - ematuria (microscopica) isolata o presenza di sedimento urinario attivo - insufficienza renale acuta - indagini ripetute per la valutazione morfologica della nefropatia diabetica. |
Screening della polineuropatia sensitivo-motoria Screening della neuropatia autonomica cardiovascolare CAN |
- Alla diagnosi di diabete tipo 2 - Dopo 5 anni dalla diagnosi di diabete tipo 1 successivamente annuale |
Screening Disfunzione erettile | - Alla diagnosi di diabete tipo 2 e poi annualmente - Dopo 10 anni dalla diagnosi di diabete tipo 1 |
Screening retinopatia diabetica (1. Oftalmoscopia diretta e/o indiretta; 2. Biomicroscopia mediante lampada a fessura con lenti sia a contatto che non; 3. Retinografia) | - Alla diagnosi di diabete tipo 2 - Dopo 5 anni dalla diagnosi di diabete tipo 1 - Successivamente, in assenza di retinopatia, ogni 2 anni |
fonte http://www.sidItalia.it

DIABETE: QUELLO CHE CONTA… E’ SAPER MANGIARE
Chi ha il diabete deve seguire un’alimentazione sana, equilibrata e varia. Non parliamo di ‘dieta per diabetici’ ma di ‘mangiare bene’, alimentarsi in modo sano.
In particolare la terapia del diabete passa attraverso una alimentazione corretta, tenendo in considerazione l’insieme delle abitudini alimentari.
Alle persone a rischio di sviluppare diabete o con diabete diagnosticato, va consigliata una alimentazione ricca di fibre, frutta, cereali e ortaggi e soprattutto povera di grassi di origine animale, la nostra “dieta mediterranea”.
L’ideale di dieta per la persona con diabete è personalizzata, tenendo in considerazione l’attività lavorativa e le abitudini di ciascun, il sesso, l’altezza, l’età e l’attività motoria, razionalizzandola con tre pasti principali (Colazione, Pranzo e Cena) e due Spuntini, in modo che sia possibile seguirla regolarmente, per ottenere:
- un controllo glicemico a Target;
- raggiungere e mantenere nel tempo il peso corporeo adeguato;
- tenere sotto controllo i principali fattori di rischio cardiovascolare;
- star bene fisicamente e mentalmente.
Ecco i dieci consigli per una dieta equilibrata:
- preferire pane e pasta integrale
- preferire le carni magre e bianche (pollo, tacchino ecc.)
- scegliere almeno tre porzioni di pesce a settimana
- consumare formaggi non più di 2 volte a settimana
- preferire latte scremato e yogurt magro
- consumare ogni giorno cinque porzioni tra ortaggi e frutta
- per i condimenti usare olio di oliva o extra vergine di oliva
- no al burro, strutto ecc.
- no alle bevande gassate
- si ad un bicchiere di vino rosso per la donna e due per l’uomo
Nessun cibo va comunque ritenuto “proibito” in assoluto, ma piuttosto si deve avere la consapevolezza che certi alimenti – a forte impatto glicemico – possono essere assunti solo occasionalmente. In Particolare il miele, la marmellata, la cioccolata, lo zucchero e le caramelle.
Occhio ai dolci confezionati (merendine, biscotti, snack, gelati, cornetti ecc. ), hanno un alto contenuto glucidico e lipidico, si possono consumare, ma con moderazione e occasionalmente.
Del tutto eccezionale l’assunzione di primi elaborati come risotti, lasagne, cannelloni e tortellini, ecc. e della pizza. Anche l’uso di sostituti del pane con grassi aggiunti e sale come cracker, grissini, panini all’olio, focacce va considerato come eccezione alla regola.
Stesso discorso vale per patate, frutta sciroppata, frutta molto ricca in zuccheri (banane, uva, fichi e cachi), succhi di frutta e superalcolici.
Circa la frutta secca (noci, mandorle, arachidi, pistacchi) – seppur il suo uso deve essere contenuto – sono sempre più numerosi gli studi che in questi anni hanno raccolto dati a favore di un loro uso contenuto (si parla di 75 grammi al giorno) sia per prevenire il diabete sia per ottimizzare il controllo glicemico e il peso corporeo.
Cosa preferire
Gli alimenti che si possono consumare tutti i giorni sono i primi piatti semplici, con sughi poco conditi; per esempio pasta o riso, conditi con pomodoro o pesce o verdure o legumi.
Via libera anche a verdura e frutta, fatta eccezione per quella molto ricca in zuccheri.
I dolcificanti acalorici vanno bene, e sono sicuri quando consumati in quantità giornaliere moderate.
Occorre sempre rispettare le porzioni consigliate: anche i cibi sani, consumati in eccesso, possono far aumentare di peso.
Qualche semplice regola:
Non saltare la colazione: è il pasto più importante della giornata. La colazione ideale è composta preferibilmente da una tazza di latte parzialmente scremato o un vasetto di yogurt magro, accompagnato da fette biscottate o pane o cereali o biscotti secchi, integrali + un frutto di medie dimensioni (circa 150 g) da consumare se possibile con la buccia.
A pranzo e a cena consumare pasti che includano un primo piatto nell’uno e il secondo nell’altro.
Ecco un esempio:
Pranzo: Pasta 50 g. = riso (cotti al dente) con verdure o pomodoro
Pane 50 g. = 50 g. di legumi secchi = 250 di piselli freschi
Pollo 100 g. = 150 Merluzzo = n. 2 Uova
Contorno di verdure cotte e crude e grigliate
1 frutto medio di stagione es. Mela 100 g. = 130 g. Nespola =160 g. Fragole
Olio di Oliva 10 g.
Cena: Pane 50 g. = 160 g. di patate lesse
Tacchino 100 g. = 50 g. Formaggio = 50 g. Prosciutto cotto o crudo
Contorno di verdure cotte e crude e grigliate
1 frutto medio di stagione es. Pera 100 g. = 130 g. Albicocca = 130 g. Albicocca
Olio di Oliva 10 g.
La sana alimentazione si pesa non solo sulla bilancia
della Dietista Gabriella Violi
Per vivere bene, bisogna mangiare bene e il segreto di un’alimentazione equilibrata è mangiare di tutto e nelle giuste quantità.
Dosare gli alimenti non è sempre possibile, tuttavia esistono i cosiddetti ‘rimedi della nonna’ che vengono in nostro soccorso per aiutarci a dosare gli alimenti senza l’uso della bilancia…
Servono solo alcuni utensili tra i più comuni… Grande nonna…!!!
– Un bicchiere da acqua
– Un cucchiaio da minestra
– Un cucchiaino da caffè
– Un piccolo mestolo
Sappiate che:
- 2 bicchieri colmi di pasta cruda equivalgono a 80 grammi, mentre se la pasta è cotta saranno 3 mestoli rasi a contenerne 80 grammi;
- ½ bicchiere di riso prima della cottura contiene 80 grammi, l’equivalente di 3 mestoli di riso cotto;
- 1 cucchiaino di formaggio grattugiato equivale a 5 grammi;
- 1 cucchiaio di olio pesa 10 grammi.
- Riguardo al pane, ci possiamo regolare in base al tipo, in quanto un mignon equivale a 30 grammi, una rosetta piccola a 60 grammi e un panino grande a 100 grammi;
- Una patata piccola pesa 60 gr, una media 150 grammi;
- 1 fetta di Prosciutto Crudo pesa 15 grammi;
- 1 fetta di Prosciutto Cotto pesa 20 grammi;
- 1 fetta arrosto Petto di Tacchino 25 grammi;
- 1 fetta Bresaola pesa 10 grammi;
- 1 fetta di carne o di pesce, grande come il palmo della propria mano aperta, corrisponde a 120-150 grammi;
- Una porzione di frutta da 150-200 grammi equivale al contenuto in un pugno della mano;
- Una fetta di pane, che sarà grossa come la propria mano aperta, corrisponde a 40-60 grammi.
Quando si deve o si vuole iniziare una dieta, si deve di solito pesare gli alimenti, molto spesso ci si stanca di ricorrere ogni volta alla bilancia ecco allora come fare .
Istruzioni
- Per evitare di usare la bilancia si tratta di ricorrere a dosare gli alimenti mediante i cucchiai. Ogni cucchiaio a seconda dell’alimento che si deve dosare corrisponde un valore in grammi. Vediamo alcuni alimenti e la loro corrispondenza in grammi ad un cucchiaio di minestra raso.
- Un cucchiaio di minestra di burro o margarina corrispondono a 20 grammi. Un cucchiaio di farine valgono 12 grammi, un cucchiaio di minestra di fiocchi di mais valgono 5 grammi, un cucchiaio di minestra di olio di semi o di olio di oliva valgono 10 grammi
- Un cucchiaio di minestra di pastina corrispondono a 20 grammi, un cucchiaio di minestra di riso corrisponde a 25 grammi, un cucchiaio di minestra di pangrattato fresco valgono 5 grammi, mentre se si tratta di pangrattato secco, corrisponde a 8 grammi.
- Un cucchiaio di minestra di formaggio grattugiato corrispondono a 12 grammi, un cucchiaio di minestra di zucchero corrispondono a 20 grammi, un cucchiaio di cacao amaro in polvere corrisponde a 12 grammi.
- Mentre se usiamo un cucchiaino di caffè per la misurazione, consideriamo che un cucchiaino di burro o margarina valgono 8 grammi, mentre un cucchiaino di farine, corrispondono a 4 grammi.
- Un cucchiaino di fiocchi di mais sono pari a 2 grammi, un cucchiaino di olio di semi o di oliva sono pari a 5 grammi, un cucchiaino di pangrattato secco corrisponde a 3 grammi, un cucchiaino di formaggio grattugiato valgono 4 grammi.
- Un cucchiaino di zucchero corrispondono a 5 grammi, un cucchiaino di cacao amaro in polvere valgono 4 grammi. Mentre alcuni alimenti si possono pesare a pezzi, vale a dire che una fetta biscottata corrisponde a 10 grammi.
- Mentre un cracker pesa 5 grammi, un uovo ha un peso di 60 grammi, un grissino medio corrisponde a 5 grammi, un pacchetto di crackers (4 pezzi) corrispondono a 25 grammi, un vasetto di yogurt pesa all’incirca 125 grammi.
- Se invece usiamo una tazza, dobbiamo tener presente che una tazza di caffè corrisponde a 40 ml., una tazza da thè corrisponde a 125 ml, mentre una tazza da caffè-latte contiene 250 ml.
- Se invece prendiamo come misuratore un bicchiere, teniamo presente che un bicchiere da liquore corrisponde a 40 ml, un bicchiere da vino contiene 125 ml, mentre un bicchiere di acqua contiene 200 ml.
Istruzioni
- Una tazza da tè corrisponde a 100 grammi, Una tazzina da caffè a 50 grammi.
- Un bicchiere da tavola contiene 200 ml. di liquido o 150 grammi, un bicchierino da liquore 30 ml. o 25 grammi.
- Un cucchiaio da tavola contiene 15 ml. o 15 grammi, un cucchiaino da tè 10 ml. o 10 grammi, un cucchiaino da caffè 5 ml. o 5 grammi.
- Un pugno (ad esempio di riso) corrisponde a 50 grammi circa, una noce (ad esempio di burro) corrisponde a 10 grammi circa
Contando Contando vien l’appetito
a cura della dott.ssa Gabriella Violi, dietista
E’ finita l’era per la persona con Diabete in particolare per il diabete tipo 1 in terapia con insulina. Devi fare tot devi mangiare gr. Vita sociale zero basta tabù.
Da qualche anno la persona con diabete in terapia con insulina o microinfusa ha la possibilità di valutare in maniera precisa la dose di insulina necessaria per ‘bruciare’ gli zuccheri assunti e ottenere grande libertà nelle scelte alimentari.
Ma come si fa a sapere esattamente quante unità di insulina bisogna iniettare prima di un pasto?
Il metodo esiste, ma richiede una certa attenzione e un periodo di formazione e addestramento.
Si chiama conta dei carboidrati, o Cho counting (all’inglese), tale metodo ha lo scopo di personalizzare la terapia insulinica e adeguarla con precisione all’introduzione di carboidrati.
Counting dei Carboidrati: perché ?
Obiettivo primario è raggiungere e mantenere un equilibrio metabolico ottimale attraverso:
- Livelli glicemici quanto più vicino a quello normale, in condizioni di sicurezza ,al fine di prevenire o ridurre il rischio delle complicanze.
- Profili lipidici che possano ridurre il rischio di danni macrovascolari.
- Livelli della pressione arteriosa che possano ridurre il rischio di danni vascolari. (ADA 2003)
Obiettivi della terapia nutrizionale nel diabete mellito
- Nei bambini e adolescenti con diabete tipo 1, provvedere a fornire l’energia necessaria al normale sviluppo e crescita,integrando il regime insulinico rispetto ai pasti e all’attività fisica svolta.
- Nelle persone con diabete trattati con insulina o con terapia orale, provvedere ad una corretta autogestione terapeutica e prevenire episodi iper e ipoglicemici sia durante episodi di malattia acuti che durante l’esercizio fisico.
È una tecnica che prevede da parte della persona con diabete l’acquisizione di capacità in relazione a :
- Cosa sono i carboidrati
- Dove sono e quanti ce ne sono
- La stima della razione degli alimenti
- L’individuazione del rapporto insulina/carboidrati
- La personalizzazione della dose di insulina in base alla quantità di carboidrati introdotta con il pasto
L’aumento della glicemia dopo un pasto misto è legato al quantitativo di carboidrati introdotti.
Il fabbisogno insulinico pre-prandiale è determinato dal contenuto di carboidrati del pasto.
Alimento | Glucosio | Tempo |
---|---|---|
Carboidrati | 90 % | 45-60' |
Proteine | 60 % | 4 ore |
Lipidi | 10 % | Molte ore |
Cosa sono i carboidrati?
I carboidrati sono un nutriente indispensabile perché forniscono la principale fonte di energia utilizzabile dal nostro organismo.
Il suo assorbimento durante la digestione si traduce in un aumento del livello di glucosio nel sangue (glicemia) che raggiunge il picco 90-120 min. dopo il pasto. Per usare il glucosio il nostro organismo ha bisogno di un ormone, l’insulina, che permette al glucosio di entrare nelle cellule.
I CARBOIDRATI SI DISTINGUONO IN SEMPLICI E COMPLESSI
Carboidrati semplici
I carboidrati semplici sono formati al massimo da due unità di zucchero. Essi vengono assorbiti rapidamente e possono causare un brusco aumento della glicemia. Tale picco glicemico risulta risotto se i carboidrati semplici sono ingeriti con altri alimenti piuttosto che a stomaco vuoto, è consigliabile consumarli con moderazione e sempre come sostituti di altri carboidrati.
Vediamo quali sono:
- SUCCHI DI FRUTTA
- FRUTTA
- VERDURA
- LATTE
- YOGURT
- DOLCI E DOLCIUMI
- BIBITE ZUCCHERATE
- BEVANDE ALCOLICHE
I carboidrati complessi sono formati da molte unità di zucchero unite insieme. Per via della loro struttura complessa vengono trasformati in glucosio lentamente e fanno quindi aumentare la glicemia in modo più lento e graduale rispetto ai carboidrati semplici. Va comunque detto che circa due ore dopo la fine di un pasto tutti i carboidrati ingeriti, che siano semplici o complessi, sono stati assorbiti sotto forma di glucosio.
Vediamo quali sono:
- PASTA, RISO , POLENTA,
- PANE, GRISSINI, FETTE B. CRACKERS, BISCOTTI
- CEREALI (FARRO, ORZO, AVENA,MAIS)
- LEGUMI SECCHI
- LEGUMI FRASCHI
- PATATE
- PIZZA
Conoscere la quantità di carboidrati che mangi ad ogni pasto e l’effetto che questi hanno sulla tua glicemia può permetterti di:
- ottimizzare la terapia ipoglicemizzante
- migliorare il controllo della glicemia
- variare il più possibile la tua dieta
Stimare la quantità degli alimenti
il modo migliore per misurare ciò che si mangia è pesare gli alimenti; tuttavia questo non sempre è possibile nella vita di tutti i giorni. Puoi iniziare a misurare le porzioni con la bilancia e, successivamente, imparare a stimare la quantità di cibo utilizzando comuni strumenti come cucchiaio, bicchieri, piatto fondo oppure usando il metodo volumetrico (un pugno, un palmo, una manciata,ecc).
Leggere le etichette nutrizionali
Le etichette sui valori nutrizionali sono una sorta di indice: ci danno informazioni sul tipo e la quantità di nutrienti presenti in un prodotto alimentare. Inoltre, indicano i grammi di proteine, grassi e carboidrati contenuti in 100 gr o in una porzione di alimento (quantità di alimento consigliata).
ALIMENTI A PREVALENTE CONTENUTO GLUCIDICO
- PANE E DERIVATI (Glucidi tot. 65 gr %,) Pane comune, pane integrale.
- PIZZA NAPOLETANA E PIADINA (Glucidi tot. 52,9 gr %)
- PASTA: (Glucidi tot. 70 gr %)Di semola, riso, farina, semolino, all’uovo conf.
- FRUTTA (1): (Glucidi tot.10 gr %) Albicocche, aranci, cocomero, fragole, lamponi, limoni, mandarini, melone, pesche, pompelmo
- FRUTTA (2): (Glucidi tot. 15 gr %) Amarene, ananas, ciliege, mandaranci, mele, nespole, pere, prugne, susine.
- FRUTTA (3): (Glucidi tot. 20 gr.) Banane, cachi, fichi, melograno, uva.
- FRUTTA (4): (Glucidi tot. 50 gr %) Castagne fresche, datteri, fichi secchi, prugne secche.
- DOLCI (1): (Glucidi tot. 60 gr %) Brioche dolce, brioche salata, colomba, Pan di Spagna, pane all’uvetta, panettone, pasta frolla, pasta sfoglia.
- DOLCI (2): (Glucidi tot. 65 gr %) Amaretti, biscotti, fette biscottate dolci, savoiardi.
- DOLCI (3): (Glucidi tot. 50 gr %) Babà, bignè, crostata, plum cake, profiteroles, torta di riso, strudel.
- DOLCIUMI: (Glucidi tot. 55 gr %) Cacao, cioccolato, nutella, gelati, marmellate, miele, torrone.
- ZUCCHERO (Glucidi tot. 100 gr %)
- PATATE (Glucidi tot. 20 gr %)
- LEGUMI (Glucidi tot. 12 gr %) Fagioli freschi, fave fresche, piselli freschi, lupini freschi.
- LEGUMI SECCHI: (Glucidi tot. 40 gr %) Ceci, fagioli secchi, lenticchie secche, piselli secchi
- LATTE (Glucidi tot. 5 gr %)
- YOGURT gr 125 Intero, Parzialmente scremato, scremato (Glucidi tot. 5 gr %) Alla Frutta (Glucidi tot. 16 gr %)
- BIBITE (Glucidi tot. 15 gr %) Coca Cola, Aranciata Succhi di Frutta
Unità di misura casalinghe: pesi di riferimento delle porzioni più utilizzate
Pizza napoletana (pizzeria) gr. 200
Piadina romagnola gr. 120
Rosetta gr. 50
Fetta di pane toscano gr. 25
Un grissino sot. (tipo 2000) gr. 3
Un grissino gros (tipo 2000) gr. 7
Una fetta biscottata gr. 10
Frutta piccola gr. 100
Frutta media gr. 150
Frutta grande gr. 200
Patata piccola gr. 100
Patata media gr. 160
Patata grande gr. 320
Piatto di pasta di semola sotto al bordo inferiore gr. 50
Piatto di pasta di semola sopra al bordo inferiore gr. 80
Piatto di pasta di semola al bordo superiore gr. 140
Pasta (Brioche, cannolo, etc) gr. 70
Pasticcino fresco (mignon, 5 pz.) gr. 100
Una zolletta di zucchero gr. 8
Una bustina di zucchero gr. 10
Un cucc.no da caffé di zucchero gr. 5
Un biscotto secco gr. 5
Cornetto confezionato gr. 75
Cono piccolo gr. 130
Cono medio gr. 200
Una tazza da caffè ricolma cc. 50
Una tazza da tea ricolma cc. 70
Una tazza da caffellatte ricolma cc. 300
Un bicchiere da tavola da acqua cc. 200
Un bicchiere da tavola da vino cc. 140
Un cucchiaino da tea di nutella gr. 10
Un cucchiaio da cucina di nutella gr. 40
Una Lattina di bibita cc 330
L'indice glicemico
- Non tutti i carboidrati hanno lo stesso comportamento nell’incremento del glucosio nel sangue.
- L’indice glicemico è un tentativo di misurare le differenze fra i vari alimenti nella conversione a glucosio direttamente nel plasma sanguigno.
- Gli indici dei diversi cibi sono in relazione alla capacità del cibo stesso nell’elevare la glicemia.
- Bassi indici sono in relazione a cibi il cui rilascio risulta essere più lento nel tempo,mentre alti indici glicemici sono dei cibi che rilasciano il contenuto di glucosio molto rapidamente .
Alimento | Indice Glicemico |
---|---|
Glucosio | 100 |
Miele | 91 |
Riso integrale | 88 |
Cereali | 83 |
Pane comune bianco | 72 |
Zucchero | 64 |
Banana | 61 |
Patate dolci | 50 |
Succo d'arancia | 49 |
Pasta | 46 |
Gelato | 38 |
Latte | 34 |
L’individuazione del rapporto insulina/carboidrati
Esistono diversi tipi di approcci per l’individuazione di un rapporto medio individuale insulina/CHO :
Per calcolare la quantità di carboidrati che assumi ad ogni pasto puoi scegliere di contare le unità di carboidrati.
Ricordati semplicemente:
1 unità di CHO = 15 gr. di CHO
oppure
- I CHO Totali Giornalieri /Totale UI Boli Pre-Prandiali = CHO (gr) /1 UI Insulina
- Ricavata con regola del 500, conoscendo la TDD (TOTALE DOSE INSULINA)Lyspro o Aspart = 500/TDD
- 67 x Peso Corporeo (kg)/TDD = CHO (gr) / 1 UI Insulina
Fattore di Correzione Glicemico (FC)
PER INDIVIDUARLO BISOGNA INTANTO AVERE UN DIARIO GLICEMICO QUANTO PiU' POSSIBILE AL TARGET
Regola del 1800 : TDD
1800: 30= 60
1 Unità di Insulina modifica di 60 mg la glicemia.
DIABETE: QUELLO CHE CONTA… E’ SAPER MANGIARE
a cura di Giuseppe Pipicelli – Nicola Cardamone – Mary Pascale
consigli nutrizionali contenuti nel presente articolo sono tratti da un volumetto prodotto dalla U.O.C. di Diabetologia e Dietologia Territoriale della A.S.n.7 di Catanzaro e distribuito ai pazienti diabetici al termine di un corso di educazione alimentare.
L’alimentazione del soggetto con diabete mellito di tipo 1 e 2 ha un ruolo importantissimo.
Se il soggetto diabetico è ben compensato l’alimentazione è molto simile a quella di un individuo sano e deve chiaramente ispirarsi alla DIETA MEDITERRANEA. Tale modello alimentare, infatti, è quello più salutare e ormai accettato in tutto il mondo, modello in grado sia di prevenire la comparsa di malattie cardiovascolari e metaboliche ( tra le quali appunto il diabete mellito 2 ), sia di migliorare alcune malattie quando presenti.
FABBISOGNO ENERGETICO
Il fabbisogno energetico del soggetto diabetico è simile a quello del soggetto normale.
La quantità di calorie è di 30-35 Kcal/Kg/die ( un uomo di 70 Kg ha bisogno di circa 2100 Kcal al giorno ). Pertanto, se il soggetto diabetico ha un “peso desiderabile” nella norma può ingerire questa quantità di calorie ogni giorno.
Spesso, però, il soggetto con diabete mellito di tipo 2 è obeso ( l’obesità è infatti responsabile nell’80-90% dei casi di diabete mellito 2 ) ed allora il fabbisogno energetico giornaliero deve essere ridotto di 500-700 Kcal/die per avere una perdita di peso graduale e lenta nel tempo. La perdita di peso è responsabile del miglioramento della glicemia e della malattia diabetica.
NUMERO DI PASTI
Il numero dei pasti ha una importanza fondamentale nel soggetto diabetico ed ha la funzione di mantenere la glicemia più stabile durante la giornata. Mentre un individuo sano può assumere tre pasti al giorno, il soggetto diabetico dovrebbe fare quattro-cinque pasti al giorno:
- Prima colazione
- Spuntino di metà mattina
- Pranzo
- Spuntino di metà pomeriggio
- Cena
PROTEINE
Il fabbisogno di proteine consigliato è di 1 gr/Kg/die, come per un soggetto normale e ciò corrisponde al 15% circa dell’apporto calorico di tutta la giornata.
Le proteine sono sostanze ( nutrienti ) che si trovano nei “secondi piatti” da mangiare tutti i giorni, sia a pranzo che a cena, facendoli debitamente ruotare durante la settimana.
LIPIDI O ACIDI GRASSI
Gli acidi grassi devono costituire il 25-30% dell’apporto calorico totale.
Attenzione ai cosiddetti “grassi invisibili”, quali quelli contenuti nei formaggi, negli insaccati, in alcuni tipi di carne o pesce, nelle uova. Un eccesso nella loro ingestione porta ad un esagerato apporto di calorie e questa abitudine scorretta, se mantenuta nel tempo, porta ad un aumento di peso con peggioramento della malattia diabetica.
Da limitare l’assunzione di grassi saturi e di colesterolo.
CARBOIDRATI O GLUCIDI O ZUCCHERI
I carboidrati devono rappresentare il 50-55% dell’apporto calorico totale giornaliero e se il soggetto è normopeso ( utente con diabete mellito 1 ) possono anche rappresentare il 55-60% .
Devono essere per l’80% “zuccheri complessi” ( amido ), per il 20% “zuccheri semplici”.
Nella malattia diabetica si deve considerare il cosiddetto “INDICE GLICEMICO”, in base al quale alcuni alimenti che contengono carboidrati devono essere limitati perché fanno salire più velocemente la glicemia. Si ribadisce il concetto di “limitati” e NON vietati, proibiti, cioè possono essere mangiati dal soggetto con diabete mellito 1 e 2 saltuariamente.
Questi alimenti sono:
pane bianco, carote, patate, zucca gialla, cornflakes, crackers, gnocchi di patate, grissini, mais, polenta, popcorn, riso, semolino, dolci e dolciumi vari (merendine, brioscine etc ), caramelle zuccherate, bevande zuccherate, succhi di frutta, ananas, banane, castagne, cocomero, fichi, fichi d’india, loti,melone, frutta candita, frutta sciroppata, datteri, fichi secchi, nocciole, prugne secche, uva passa, uva sultanina, zucchero.
VITAMINE, SALI MINERALI E FIBRE
Nell’ambito di una alimentazione varia ed equilibrata queste sostanze devono essere ingerite tutti i giorni attraverso alimenti come la verdura, la frutta, i cereali integrali, i legumi etc.
La quantità di fibre da ingerire è di circa 25-30 grammi al giorno.
ACQUA
L’acqua è un nutriente essenziale per l’organismo umano. Circa il 60% del peso corporeo è costituito da acqua.
Il fabbisogno giornaliero di acqua nel soggetto diabetico è di un litro-un litro e mezzo.
Da ricordare che in estate si deve bere più acqua ( dai due ai tre litri ) rispetto all’inverno.
ALCOOL
Le bevande alcoliche devono essere assunte con moderazione dal soggetto diabetico.
Se il peso corporeo è normale, in tutta la giornata sono consigliati 2-3 bicchieri di vino rosso per l’uomo e 2 bicchieri di vino rosso per la donna, da consumare ai pasti principali.
Se il soggetto è in sovrappeso/obeso è preferibile eliminare totalmente le bevande alcoliche sia nell’uomo che nella donna per un certo periodo di tempo.
FREQUENZA DI ASSUNZIONE CONSIGLIATA DEGLI ALIMENTI
Tutti gli alimenti che si ingeriscono devono essere “ruotati” durante la settimana, per assicurare variabilità e completezza nutrizionale.
Pertanto, gli alimenti dovrebbero essere assunti secondo la seguente indicazione:
- La carne 3-4 volte a settimana ( preferendo la carne bianca )
- Il pesce 2-3 volte a settimana
- I legumi 1-2 volte a settimana
- Le uova 2 volte a settimana
- I formaggi 2-3 volte a settimana
- Gli insaccati/affettati 1-2 volte a settimana
- Tutti i giorni, sia a pranzo che a cena, una porzione di verdura e di frutta
- Cereali a basso indice glicemico (pasta, riso parboiled) una porzione al dì
- Pane due porzioni al dì
CONSIGLI ALIMENTARI IN OCCASIONI PARTICOLARI
- Il consumo dei dolci non è vietato, purché avvenga soltanto occasionalmente e sempre al termine di un pasto principale e mai fuori pasto. Il dolce va assunto in quantità moderata e si dovrà ridurre in quel pasto l’assunzione di altri carboidrati, pasta, pane e frutta e si dovrà aumentare la quantità di verdura. Alcune volte può essere necessario aumentare la quantità di insulina.
- In occasione di pasti fuori casa ( cene con amici, compleanni, matrimoni etc ) si dovrà limitare le porzioni di cibi assunti ( mezze porzioni ) e se necessario si aumenterà la quantità di insulina.
CONSIGLI RELATIVI ALL’ATTIVITA’ FISICA
Come per il soggetto normale, anche per il soggetto diabetico l’attività fisica, praticata con regolarità e costanza, è estremamente importante.
E’ sufficiente compiere quotidianamente brevi passeggiate e, se possibile, praticare attività sportiva sotto la guida del proprio medico curante e medico diabetologo che ha in cura il soggetto diabetico.
Piccole strategie da applicare regolarmente possono essere le seguenti:
- passeggiare 30 minuti tre volte a settimana, poi 45 minuti cinque volte a settimana.
- Oppure passeggiare 30 minuti cinque-sei volte a settimana.
- Fare le scale a piedi sia a “salire” che a “scendere”.
- Lasciare la macchina distante rispetto a dove si deve andare per fare così un tratto di strada a piedi.
Il Diabete va in atelir: ovvero il diabete su misura (CHO e Iper Glicemia)
a cura della Dietista dott.ssa Gabriella Violi
La Terapia Alimentare nella persona con diabete mellito deve assicurare degli obiettivi nutrizionali che lo aiutino a mantenere a target la glicemia, vediamo di cosa si tratta:
- Mantenere costante il valore della Glicemia, evitando picchi glicemici post-prandiali;
- assicurare un idoneo apporto di Carboidrati senza scendere sotto la dose giornaliera di 150 grammi, posizionando la quota giornaliera dei Glucidi attorno al 55% del fabbisogno calorico giornaliero, con il 15% di Proteine e il 30% di Lipidi, di cui almeno il 10% di Monoinsaturi: quote analoghe a quelle del soggetto sano.
- Tenere sotto controllo il peso corporeo possibilmente con un IBM (Indice di Massa Corporea) entro la soglia
- L’alimentazione Giornaliera dovrebbe essere suddivisa in 5/6 pasti di cui tre principali, colazione, pranzo e cena, con due/tre spuntini, mattina , pomeriggio e sera, così facendo evitiamo un sovraccarico di Carboidrati in specie pranzo e cena con una riduzione di insulina
- Gli alimenti ricchi di fibra alimentare idrosolubile tardano l’assorbimento dei CHO evitando alterazioni Glicemiche elevate.
- La terapia alimentare di una persona con il diabete non si discosta di molto da una terapia per persone senza diabete. E’ necessario che la quota giornaliera dei CHO sia costante per non incorrere in una forma di autofagocitosi (mangiare se Stesso) praticamente cosa succede, l’assenza dei Carboidrati stimola l’autocannibalismo in quanto il corpo umano comincia a smontare le proprie Proteine muscolari al fine di ottenere il Glucosio. In assenza prolungata di Carboidrati, i sistemi metabolici tendono ad utilizzare gli Aminoacidi muscolari, ramificati e glucogenetici, al fine di ricavare l’Alanina: sostanza, questa, che, uscita dai muscoli, arriva al fegato dove viene trasformata in Glucosio. Quindi se si segue una alimentazione a basso contenuto di Carboidrati, nel tempo, si rischia di perdere massa magra muscolare e di ottenere una perdita di peso corporeo senza intaccare invece la massa grassa.
Una dose giornaliera insufficiente di Carboidrati porta alla formazione della Chetosi con la comparsa nel sangue di Acetone, Acido Acetacetico e Acido Betaidrossibutirrrico. Questi corpi chetonici hanno anche l’effetto di calmare la sensazione di fame e procurano anche una leggera sensazione di euforia. Condizioni, queste, che può far continuare ad insistere con la dieta a basso contenuto di carboidrati per lungo tempo, con il rischio di perdere così molta massa magra muscolare conservando invece la massa grassa totale.
Il cervello ha bisogno di almeno 200 gr di Glucosio al giorno, in presenza di corpi chetonici si adatta alla mancanza di Glucosio attingendo energia proprio da questi.
Un corretto uso dell’Indice Glicemico può orientare nella scelta degli alimenti in grado di apportare la dose giornaliera raccomandata di Carboidrati per evitare sfavorevoli condizioni metaboliche alla salute della persona con diabete andiamo a conoscerlo.
L’indice glicemico è un sistema di misurazione della qualità dei carboidrati, basato su un punteggio da 0 a 100, in grado di differenziare i CHO che vengono digeriti, metabolizzati velocemente, detti ad alto indice glicemico, da i CHO che lo sono lentamente, detti a basso IG. .
Quando consumiamo un alimento a base di carboidrati, si verifica un innalzamento, seguito da una diminuzione, della concentrazione di zucchero nel sangue (glucosio). Questo fenomeno è chiamato: risposta glicemica, che non è altro che la capacità degli alimenti di incrementare la glicemia post prandiale rispetto ad un alimento di riferimento ( glucosio o pane bianco con IG = a 100)
Il valore che deriva da questa misurazione, espresso in termini percentuali, è detto, appunto, indice glicemico di un determinato alimento.
Una porzione da 50 grammi di glucosio puro è il valore di riferimento comunemente utilizzato. Gli alimenti che si scompongono velocemente durante la digestione, come ad esempio il riso, hanno gli indici glicemici più alti. Si tratta di alimenti che determinano un aumento maggiore e più veloce dei livelli di zucchero nel sangue, rispetto a quelli con indici glicemici più bassi. Gli alimenti a basso indice glicemico, come ad esempio i fagioli, si scompongono più lentamente, rilasciando in modo graduale il glucosio nel sangue.
La risposta glicemica di un alimento è solo in parte prevedibile, essi dipendono, dal tipo di zucchero contenuto negli alimenti (saccarosio – lattosio, fruttosio, glucosio ecc.) e dalla natura e forma dell’amido (alcuni sono più digeribili di altri).
Anche la cottura, la macinazione e i metodi di lavorazione usati, oltre che la quantità degli altri nutrienti presenti nell’alimento, come ad esempio i grassi e le proteine, possono influire sulla risposta glicemica. In aggiunta, il diverso metabolismo di ogni individuo e il momento della giornata in cui viene assunto il carboidrato possono influire sulla risposta glicemica.
METODI DI COTTURA
CARNE E PESCE = alla griglia, in umido, lessati, al cartoccio, al forno a microonde
VERDURE O ORTAGGI = al forno, lessati, al vapore, se possibile crudi
UOVA = alla coque, in camicia, sode, strapazzate, a frittatina, con il latte
PER DOSARE IN MODO SEMPLICE ALCUNI ALIMENTI RICORDI CHE:
1 cucchiaino da caffè di PARMIGIANO equivale a 5 gr ca.
1 cucchiaino da caffè di ZUCCHERO equivale a 5 gr ca.
1 cucchiaino da caffè di BURRO equivale a 4 gr ca.
1 cucchiaino da caffè di OLIO EXTRAVERG. DI OLIVA equivale a 4 gr ca.
1 cucchiaino da caffè di PASTINA equivale a 5 gr ca.
1 cucchiaio da minestra di BURRO equivale a 13 gr ca.
1 cucchiaio da minestra di OLIO EXTRAVERG. DI OLIVA equivale a 13 gr ca.
1 cucchiaio da minestra di PASTINA equivale a 15 gr ca.
1 FETTA BISCOTTATA equivale a 8 gr ca.
1 UOVO INTERO equivale a 60 gr ca.
1 VASETTO DI YOGURT equivale a 125 gr ca.
Obesità e Diabete, è colpa anche dei nostri geni?
Alessio Calabrò – Dr. In Scienze delle Attività Motorie e Sportive, Dietista.
È oramai confermato il ruolo chiave che l’obesità svolge nello sviluppo del diabete di tipo 2.
Con l’obesità, le cellule beta del pancreas diventano meno sensibili all’aumento della concentrazione di glucosio nel sangue. Inoltre le cellule bersaglio di tutto l’organismo, spesso riducono il numero o la capacità di attivazione dei recettori dell’insulina; ne deriva una minore efficacia di quest’ormone nel sangue e nel trasporto del glucosio nelle cellule.
Spesso ci si domanda se l’obesità e le patologie ad esso correlate, possano essere riconducibili anche a dei fattori genetici o se essi siano prettamente una questione di cattive abitudini comportamentali.
L’influenza della genetica è chiaramente testimoniata, oltre che dall’esistenza di alcune sindromi genetiche ove l’obesità rappresenta, un sintomo predominante e diagnostico, anche dalla maggior prevalenza di sovrappeso nei figli di genitori obesi, rispetto a soggetti con genitori normopeso nonché dalla stretta relazione del peso di bambini adottati con quello dei loro genitori naturali, rispetto a quello dei genitori adottivi.
Tuttavia, escludendo le cause strettamente “sindromiche”, il fenomeno obesità con tutte le conseguenze ad esso annesse può essere scatenato da altri fattori genetici. Alcuni di essi sono stati studiati e comprovati altri ancora in fase di accettazione dalla comunità scientifica.
Una delle teorie, che cercherebbe di spiegare la crescita esponenziale di malattie a carattere metabolico è stata avanzata dal Genetista James Neel, chiamata teoria del “Gene Risparmiatore”.
Con la denominazione geni risparmiatori, si indica una serie di geni, che si sarebbero sviluppati nel corso dei secoli, a causa di ripetuti periodi di carestie e ristrettezza calorica, che hanno svolto un ruolo essenziale aiutando l’organismo a sopravvivere a queste condizioni nutrizionali avverse.
Secondo la teoria di Neel, i popoli che avevano come unico sostentamento la caccia e la pesca, e quindi costretti a lunghi periodi di digiuno o di introito calorico ridottissimo, ai quali si alternavano però brevi periodi di “lauti pasti”, riuscirono nel corso dei secoli a creare un meccanismo di “difesa” che gli conferiva la capacità di accumulare facilmente tessuto adiposo durante il breve periodo di abbondanza, che gli assicurava delle preziose scorte durante il tempo di carestia.
In una società come la nostra, il cibo non è più un fattore limitante e purtroppo, tali geni diventerebbero addirittura dannosi favorendo l’insorgenza di innumerevoli patologie.
Infatti l’incremento sproporzionale di malattie a carattere prettamente metabolico quali diabete, aterosclerosi, infarto, gotta, ecc.. avvenuto negli ultimi 50 anni circa, è causato proprio dalla rapida modifica del nostro stile di vita, modifica che non è avvenuta di pari passo con un ulteriore adattamento genetico (che probabilmente mai ci sarà) capace di tollerare tutta questa abbondanza.
E quindi nuovamente sedentarietà e dieta sregolata hanno trovato così terreno florido per scatenare i problemi che oggi sono sotto gli occhi di tutti, e che devono essere combattuti, in primis attraverso uno stile di vita corretto: una sana alimentazione e più movimento fisico.
E’ dunque davvero colpa dei nostri geni?
In parte sì, ma è bene rammentare che la predisposizione genetica da sola non può far nulla, se non è alimentata da fattori comportamentali a rischio.

INSULINA…Quando il troppo “stroppia”!
L’insulina è un importantissimo ormone secreto dal pancreas che ha dei fondamentali ruoli nell’organismo:
- Facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule ed ha pertanto azione ipoglicemizzante (abbassa la glicemia).
- Favorisce l’accumulo di glucosio sotto forma di glicogeno (glicogenosintesi) a livello epatico ed inibisce la degradazione di glicogeno a glucosio (glicogenolisi).
- Facilita il passaggio degli aminoacidi dal sangue alle cellule, ha funzione anabolizzante perché stimola la sintesi proteica e inibisce la neoglucogenesi (formazione di glucosio a partire da alcuni aminoacidi).
- Facilita il passaggio degli acidi grassi dal sangue alle cellule, stimola la sintesi di acidi grassi a partire da glucosio e aminoacidi in eccesso ed inibisce l’utilizzazione degli acidi grassi a scopo energetico.
- Facilita il passaggio di potassio all’interno delle cellule.
- Stimola la proliferazione cellulare.
- Stimola l’uso del glucosio per la produzione di energia.
- Stimola la produzione endogena di colesterolo.
Tutti questi processi metabolici sono in equilibrio tra loro e sono retti da un sottile filo che se tirato troppo si può rompere…ed è ciò che succede se l’ormone insulina viene secreto in eccesso: una condizione chiamata IPERINSULINEMIA o iperinsulinismo.
Il maggior stimolo per l’azione insulinica è dato da un pasto ricco di carboidrati semplici e povero di fibre, grassi e proteine. Va da se che la prima (e più frequente) causa di iperinsulinismo sono proprio gli errori (a volte orrori!) alimentari a cui ormai l’industria alimentare ci ha abituato.
Sintomi di Iperinsulinismo sono tremori, sudorazione, letargia, svenimento e (raramente) coma: tutti sintomi dovuti alla condizione di ipoglicemia reattiva che si viene a creare.
Considerate inoltre le azioni endocrine dell’ormone, in presenza di iperinsulinemia si ha anche: aumentata sintesi epatica di trigliceridi (ipertrigliceridemia) e obesità viscerale; a livello renale, invece, aumentata ritenzione di sodio con conseguente comparsa di ipertensione. Tutto ciò può determinare la comparsa di una sindrome chiamata SINDROME METABOLICA. Inoltre, essendo la struttura molecolare dell’insulina simile all’ormone luteinizzante (LH), può determinare nelle donne iperandrogenismi, irregolarità’ mestruali e policistosi ovarica.
Per tutti questi motivi – e per la frequente associazione con obesità, steatosi epatica, dislipidemia, fumo, iperuricemia, ed aterosclerosi – l’iperinsulinemia è considerata un importante e indipendente fattore di rischio cardiovascolare.
Importantissima quindi resta la prevenzione, con una dieta attenta ad un consumo povero di alimenti ad alto indice glicemico (dolciumi, farine raffinate) e ricca in fibre e cereali grezzi e, non meno importante, una regolare attività fisica.
Dott. Cristina Campolo
Iperinsulinemia, primo campanello d’allarme…
Dott. Calabrò Alessio, Dietista – Specialista in Scienze dello Sport
L’insulina, ormone di origine pancreatica, gioca un ruolo chiave nella regolazione della glicemia. Essa facilita l’entrata del glucosio ematico in quei tessuti chiamati appunto insulino-dipendenti, evitando così che i valori glicemici si innalzino troppo.
La concentrazione ematica di insulina non è mai costante, essa varia spesso in funzione del pasto, innalzandosi rapidamente dopo l’ingestione di una consistente quota di carboidrati e rientrando nella norma dopo alcune ore. Tuttavia in alcuni casi tali valori possono risultare cronicamente elevati; questa condizione, che prende il nome di iperinsulinemia, può essere scaturita da diversi fattori a volte congeniti e altre volte acquisiti: possiamo citare ad esempio alcune terapie farmacologiche, (uso protratto di corticosteroidi), eccessiva sintesi di ormoni controinsulari (adrenalina, cortisolo, glucagone), cause genetiche, o anche forme tumorali come l’insulinoma (tumore delle cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina) o patologiche (tipo la sindrome da ovaio policistico), fino ad arrivare alle classiche, ma quanto mai sempre presenti cattive abitudini di vita protratte nel lungo tempo, quali dieta sregolata e scarsa o nulla attività fisica…
Tutte le cause sopraelencate portano a un incremento della produzione di insulina da parte delle cellule beta pancreatiche, il più delle volte perché i tessuti deputati ad “accogliere” tale ormone (muscolo e tessuto adiposo su tutti), diventano meno sensibili alla sua azione. Per compensare tale ridotta sensibilità cellulare, il pancreas è costretto ad attuare un meccanismo compensatorio sintetizzando e rilasciando più insulina, per evitare che i livelli di glicemia vadano fuori range.
Indipendentemente dalle cause che scaturiscono tali eccessi insulinici è doveroso sottolineare che, quest’azione compensatoria risulta essere un lavoro sfiancante per il pancreas e purtroppo, non può essere protratta all’infinito, poiché alla lunga gli effetti collaterali dell’iperinsulinemia danno come risultato finale il declino della funzionalità del pancreas stesso, con possibile successiva perdita di efficacia di tale meccanismo controregolatore che causa comparsa di iperglicemia a digiuno.
Pertanto, se non adeguatamente regolarizzata, tale condizione può essere considerata a tutti gli effetti come l’anticamera del diabete.
Diagnosi, segni e sintomi:
Nella pratica clinica, abitualmente, si tende a valutare le concentrazioni di insulina a digiuno, oppure si osserva la risposta glicemica in seguito a OGT, che, nei casi di insulino-resistenza risulta inizialmente avere un andamento abbastanza normale, salvo presentare, a distanza di alcune ore, un repentino abbassamento (dovuto appunto all’iperinsulinemia).
L’iperinsulinemia generalmente non causa sintomi particolari, in condizioni accentuate può associarsi a tremori, sudorazione, letargia, svenimento e coma (causate dalla conseguente condizione di ipoglicemia); inoltre alcune forme di acantosi nigricans, (tipiche macchie scure dietro il collo o sulle ginocchia o sui gomiti), possono essere segni dovuti proprio ad elevati livelli di insulinemia.
E’ bene ricordare che la condizione di iperinsulinemia può essere migliorata, specie se essa è scaturita da uno stile di vita poco salutare (che rimane uno delle cause principali e più frequenti di tale condizione). Quindi se nell’ultimo avete messo su qualche kg, e i vostri abiti stringono in vita ma la vostra glicemia risulta apparentemente nella norma consigliamo di monitorare anche i livelli di insulina ematici, e qualora questi fossero alterati discutere con il proprio medico il trattamento più consono per migliorare tale situazione, che, abitualmente risiede in una regolarizzazione della dieta e nella pratica di un regolare esercizio fisico.
Fattore di correzione e rapporto insulina carboidrati
Calcola il tuo fattore di correzione, ovvero di quanto abbassa la glicemia una unità di insulina ultrarapida, e il tuo rapporto insulina carboidrati, ovvero quanti CHO sono coperti da una unità di insulina ultrarapida.
Calcola il tuo fattore di correzione, ovvero di quanto abbassa la glicemia una unità di insulina ultrarapida, e il tuo rapporto insulina carboidrati, ovvero quanti CHO sono coperti da una unità di insulina ultrarapida.
IPOGLICEMIA: come riconoscerla e come trattarla
dott.ssa Maria Antonella Ferraro
l’Ipoglicemia è una delle complicanze più frequenti nel diabete.
Secondo il gruppo di studio dell’ADA (American Diabetes Association) si definisce ipoglicemia una glicemia < 70 mg/dl.
Gli ormoni contro-regolatori (il Glucagone prima e l’Adrenalina dopo) sono secreti già da una glicemia ≤ 65 mg/dl.
La sintomatologia insorge solitamente per glicemie< 55 mg/dl.
Conoscere alcuni semplici regole permette alla persona con diabete e ai propri familiari di affrontare questa situazione nel modo migliore.
Riconosci i sintomi.
Sintomi autonomini adrenergici:
Subito 15 g di zuccheri semplici
Fermarsi se si sta facendo attività fisica
Ricontrollare l’HGT dopo 15 minuti, se ancora <70 ripetere assunzione di 15 g di zuccheri.
15 g zuccheri semplici:
Poiché la glicemia tende a scendere dopo un’ora bisogna dare carboidrati complessi dopo lo zucchero: 15-20 g di carboidrati complessi:
Raccomandazioni:
IPOGLICEMIA…BASTARDA…
del dott. Eros Barantani
T’amo pio bove;…(Giosuè Carducci)
T’amo dia…bete; e mite un sentimento – di vigore e di pace al cor m’infondi – o che solenne come un monumento – tu guardi…
Ho “amato” il diabete fin da quando ero studente universitario e durante la preparazione dell’esame di Clinica Medica il mio compagno di studi Mario ed io lo abbiamo incontrato e “amato” perché era una condizione metabolica che consentiva il ragionamento e con una terapia strettamente legata al ragionamento. Mario ed io ci siamo laureati insieme e abbiamo lavorato insieme all’Ospedale di Treviglio (provincia di Bergamo), lì sempre insieme abbiamo incontrato persone con il diabete talora all’esordio con glicemia compresa tra 600 e 1000 e molto più spesso abbiamo incontrato l’ipoglicemia, condizione clinica costantemente in agguato nella vita di persone con diabete di tipo 1: è caratterizzata da episodi a volte lievi (se corretti in tempo assumendo tre zollette di zucchero) a volte più severi, spesso “asintomatici” durante la notte. L’ipoglicemia anche se di breve durata provoca disfunzione cerebrale, gli ormoni contro regolatori vengono attivati (glucagone, adrenalina, cortisone o cortisolo, ormone della crescita, ormone tiroideo) alcuni precocemente e altri tardivamente; compaiono i sintomi (tachicardia, sudorazione, tremore, fame), la carenza di glucosio a livello del sistema nervoso centrale provoca difficoltà di pensiero, confusione mentale, vertigine, stanchezza. È importante riconoscere e prevenire una caduta nel glucosio ematico; il cervello necessita in un adulto di circa 100 g di glucosio al dì, non ossida substrati diversi dal glucosio, non è in grado di sintetizzare glucosio ed ha riserve sufficienti solo per pochi minuti. Molto insidiosa è la sua comparsa notturna (dopo anni di diabete si abbassa la soglia della percezione): il sonno è agitato e al risveglio indumenti sudati, spossatezza, stordimento, sensazione di fame, ricordo di incubi notturni devono orientare verso la presenza di ipoglicemia notturna ed è importante ragionare sul valore della glicemia a distanza dal pasto serale per eventualmente correggerla prima di coricarsi. Da qui il senso di smarrimento di fronte al tabellone del Metàplan relativo all’ipoglicemia: la perdita del controllo metabolico.
Ricordo che nel periodo di lavoro a Treviglio venne ricoverato un professore universitario del Politecnico di Milano, il più grande esperto di Aeronautica italiano, portatore di diabete di tipo 1 che per tale motivo non aveva mai potuto avere il brevetto di pilota. Era maestro del mio compagno di banco di liceo, Renato, che era diventato poi suo assistente universitario. Il Professore era un personaggio, come succede, con le sue stranezze: quando litigava con la moglie la “ricattava e minacciava” per protesta dicendo che avrebbe interrotto la terapia insulinica e la glicemia bella bella pacifica pacifica saliva fino a 700 (rischio coma nel breve termine e complicanze a distanza: retinopatia, nefropatia, neuropatia, danni vascolari). Durante il ricovero, Renato mi chiamò e mi disse che forse c’era qualcosa che non andava: al letto del paziente gli chiesi se aveva qualche disturbo e la risposta fu “sto bene, sto bene, sto particolarmente bene”, risposta apparentemente rassicurante ma incongrua in un individuo sempre disposto a mettere in discussione ogni affermazione e il responso della glicemia fu 35 (ipoglicemia molto seria).
Ecco la perdita di controllo, una assenza repentina dalla vita normale che deve rapidamente essere corretta e trasformata in presenza per evitare seri rischi; in caso di ipoglicemia da chi vorreste essere soccorsi? Dove vorreste essere portati? A casa? Al Pronto Soccorso? Qui ci siamo “incartati” e le “intemperanze rumorose” e l’eccessiva “premura” nel chiudere le riflessioni sul Metàplan da parte del gruppo ACNE rispetto alla lentezza ponderata del gruppo BOTOX non ha consentito la conclusione della discussione.
Ei fu siccome immobile…(Manzoni)… Lui non era in ipoglicemia,era già oltre
Passata è la tempesta……ecco il sereno rompe là da ponente……(Leopardi)
IPERGLICEMIA IMPREVISTA E…SHERLOCK HOLMES
del dott. Eros Barantani
Durante il soggiorno (corso di apprendimento) a Zambrone Mare è stato bello essere interpellato per trovare motivazioni e giustificazioni a un aumento della glicemia non atteso. In breve, da un lato un ragazzo studente e giocatore di calcio (attaccante) aveva presentato un valore di glicemia elevato a metà mattinata di un giorno di scuola senza aver fatto colazione e dall’altro una ragazza studentessa e giocatrice di basket (figlia di una giocatrice di basket e di un allenatore di calcio e sorella di un giocatore di basket, una famiglia immersa da sempre nello sport) che spesso presenta valori di glicemia elevata dopo l’attività fisica di allenamento o agonistica.
Spesso si dice che il medico deve trasfigurarsi in un investigatore poliziesco che raccoglie la storia clinica, interroga e visita il paziente per trovare le “prove” che portano alla diagnosi oppure alla chiarificazione del problema; non tutti i medici sono d’accordo con questa interpretazione dell’attività professionale, ma in questi due casi mi veniva affidata una ricerca della “verità metabolica” connessa all’iperglicemia.
Ecco dunque il quadro investigativo veramente particolare:
Vi è un “delitto” (l’iperglicemia).
Vi è un protagonista (il ragazzo e la ragazza) che svolgono un ruolo complesso:
sono contemporaneamente vittima e testimone, vittima perché subiscono l’iperglicemia/delitto e testimone perché interrogati devono rispondere a domande come “persone informate sui fatti” che hanno preceduto e causato l’iperglicemia
sono contemporaneamente anche imputati perché potrebbero aver commesso errori che hanno portato al delitto/iperglicemia e possono cercare più o meno consciamente di nascondere alcuni particolari “delicati”.
Vi possono essere poi dei “complici silenziosi”, quelli del famoso diabete di tipo “tre” noto solo agli addetti ai “lavori in corso” sulla glicemia (stanno “lavorando per noi” e seguono da vicino il protagonista).
Ecco tutti gli attori sulla scena del delitto, scena che subisce continuamente delle contaminazioni, e l’istruttoria procede tra molte difficoltà e considerazioni su altri protagonisti silenziosi che affiancano la “coppia regina” glicemia/insulina e si chiamano adrena Lina (impicciona sempre agitata), corti Solo o cortis One (pronto a cercare carburante per ogni tipo di lotta), tiro Xina (ormone della tiroide che accelera o rallenta in relazione alla nostra giornata attiva o passiva), somato Tropo (ormone della crescita anche se siamo già cresciuti abbastanza) senza dimenticare il principe gLuca gone.
Il medico (Derrick, Maigret, Sherlock Holmes, Colombo in relazione al caso polizio/clinico) terrà aperta l’indagine fino a che l’imputato/vittima/testimone o uno dei complici non farà un “passo falso” oppure la terrà aperta fino a che potrà raccogliere la testimonianza diretta dell’Angelo Custode del centrattacco (il goal della terapia insulinica) o della play maker (rimbalzo dopo una relativa ipoglicemia) proprio mentre la glicemia sale.
In Ospedale i collaboratori del primario raccolgono tutte le informazioni per arrivare a capo del caso clinico poi un giorno passa il primario in visita, fa una domanda e il paziente risponde fornendo informazioni che fino a quel momento erano state negate a tutti e che risultano decisive per la diagnosi corretta: l’istruttoria non finisce mai ed è necessario ritornare sempre sui propri passi senza stancarsi per scoprire la verità clinica/poliziesca.
MINIME SUPERIORI ALLE MASSIME…DELLE 7.07
del dott. Eros Barantani
Non scrivo di temperature mattutine, non parlo di attività fisica delle 7.07 ora del risveglio…motorio, non imito il training autogeno…le mie gambe sono pe…santi…, ricordo un paziente che in ambulatorio mi disse che la pressione minima era superiore alla pressione massima…impossibile…in realtà voleva indicare che a causa del grande caldo la pressione massima era diminuita a tal punto che la minima in condizioni di normalità per esempio 85 mm di mercurio era superiore alla massima di quel determinato momento e cioè di 80 mm di mercurio…quindi attenzione alle minime cioè a quelle espressioni che paiono insignificanti ma che talora hanno forza prorompente…superiore alla massime…alle affermazioni che ci paiono assolute e immodificabili.
Proverò con le massime: quale rischio maggiore si corre se si è affetti da ipertensione arteriosa?…Ictus cerebri; quale rischio maggiore si corre se si è portatori di colesterolo elevato?…Infarto miocardico; quale rischio maggiore si corre se si fuma?…Arteriopatia periferica; e quale rischio maggiore si corre se si è affetti da diabete mellito?…Tutte e sei le precedenti…Come se abbiamo citato solo tre massime? Certo ma nel caso del diabete dobbiamo ricordare anche il rischio delle minime…della microangiopatia…della retinopatia, della nefropatia, della neuropatia.
Quindi ecco le minime che potenziano le massime; se un diabetico è anche iperteso, se ha il colesterolo alto, se fuma crea una potentissima “associazione a delinquere” difficile da sgominare; tutti devono sorvegliare i valori sopra indicati anche coloro che hanno goduto finora di buona salute ma il diabetico deve avere una attenzione particolare e raffinata.
Non ci rendiamo conto ma abbiamo a disposizione una sofisticata macchina metabolica della quale abbiamo il dovere di utilizzare ed esplorare le potenzialità per poter farla funzionare al meglio; come se possedessimo una Ferrari, l’individuo senza diabete può guidarla con il pilota automatico ma deve stare attento perché se sollecita la macchina con eccessi alcolici e/o inalazioni di nicotina o di altre sostanze tossiche e/o con eccessi alimentari e/o abbandona l’addestramento a rimanere su un mezzo così potente, sbanda e rischia di mettere in grave difficoltà anche una macchina così equilibrata; dall’altro lato il diabetico ha un compito più elevato poiché non solo deve evitare gli eccessi sopra indicati ma deve dare dimostrazione di essere abile nel guidare un mezzo che può essere difficile da dominare ma che attraverso la conoscenza consente di apprezzare la bellezza funzionale di questa Ferrari, di questa meravigliosa macchina metabolica.
Ecco quindi il diabete…una malattia per ora inguaribile ma p………….curabile, dove la p sta per…poco curabile oppure…parzialmente curabile…oppure perfettamente curabile come desideriamo sia purchè il pilota abbia la patente DE di Diabetico Esperto e/o la patente DI di Diabetico Intelligente che ha imparato a conoscere il motore, a scegliere il carburante, a far funzionare il carburatore a seconda che si debba accelerare o rallentare, a riconoscere quelle condizioni nelle quali il consumo aumenta; ad avere anche al fianco un navigatore…un genitore, un amico o un’amica, un marito o una moglie… che tengano in mano le carte geografiche delle isole di Langerhans oppure quelle trasparenti dell’isola che non c’è ma che in ogni caso isole sì o isole no siano in grado di non perdersi nelle vie dei Grassi o dei Magri, nelle vie dei Dolci o dei Salati, dei Colesteroli Buoni o dei Colesteroli Cattivi…; già ma esistono i Colesteroli Buoni e i Colesteroli Cattivi?…No il colesterolo è sempre buono ed è solo buono, quello Cattivo è il Colesterolo Elevato quando presente in quantità eccessiva diventa prepotente ed aggressivo verso i guard rail o New Jersey naturali delle autostrade della circolazione…sanguigna.
Buon lavoro di Officina, buon viaggio…di andata nel futuro…
L’autocontrollo glicemico
a cura di I.P. Giusy Iacopino (Equipe Diabaino)
Come ormai risaputo il diabete Mellito è una malattia cronica e come tale,dunque, destinata ad accompagnare la persona affetta per il resto della vita. Come se non bastasse parliamo di una patologia in continua espansione: nel 2025 il diabete interesserà oltre trecento milioni di individui nel mondo intero; è tra le dieci maggiori cause di morte nei paesi industrializzati; ed i costi globali per le persone affette da Diabete sono in media 2,5 volte più alti rispetto a quelli senza diabete. La premessa sembra confortante……però in effetti i dati sono allarmanti e per farvi fronte occorre puntare su un team diabetologico che sia in grado,con un lavoro sinergico e con un linguaggio comune a tutte le figure che lo compongono,di creare un paziente consapevole e soprattutto competente. Si parte dall’autocontrollo glicemico domiciliare vero e proprio strumento terapeutico. Il termine autocontrollo viene riferito al monitoraggio della glicemia capillare ed all’interpretazione dei risultati glicemici e conseguenti interventi terapeutici volti a migliorarli che le persone con diabete devono essere educate a effettuare, in collaborazione con il personale sanitario; si tratta di una pratica indispensabile che fornisce, tanto al paziente quanto alla sua famiglia, gli strumenti adatti per:
− conseguire un adeguato compenso metabolico
− prevenire o rallentare l’insorgenza delle complicanze acute (chetoacidosi e ipoglicemia)
− prevenire o rallentare l’insorgenza delle complicanze croniche (retinopatia, nefropatia, micro e macro angiopatie.
Rappresenta, inoltre, la modalità più efficace per il controllo dell’iperglicemia post-prandiale e, quindi, per l’adozione della terapia più appropriata e personalizzata del singolo paziente. Si comprende bene come l’autocontrollo non sia soltanto uno strumento per il monitoraggio quanto invece parte integrante di un programma di educazione terapeutica e, per questo, deve essere ben strutturato. L’educazione all’autocontrollo prevede le tre famose domande: come,quando e perché.
Come
La misurazione dei livelli di glucosio avviene con l’ausilio di piccoli apparecchi elettronici, i glucometri, che analizzano in breve tempo i valori glicemici su di un piccolo campione di sangue. Sarà compito dell’infermiere insegnare al paziente la corretta tecnica di puntura del polpastrello e l’importanza di trascrivere i risultati sul diario annotando sempre la motivazione di un valore fuori target attraverso una attenta ed educata interpretazione.
Quando
La frequenza dei controlli glicemici deve essere determinata su base individuale tenendo conto del tipo di diabete e della terapia in atto proprio per poter intervenire su di essa. Il momento in cui la glicemia viene determinata, infatti, è importante: quelle dopo pranzo, dopo cena e al momento di coricarsi correlano di più con i livelli di HbA1c rispetto a quelle effettuate a digiuno,oltre e a dare conferma o meno della validità della terapia farmacologica, alimentare e motoria; La misurazione della glicemia post-prandiale va effettuata tra i 60 e 120 minuti dall’inizio del pasto ; il team di cura stabilirà l’intervallo più idoneo in relazione al quadro clinico del singolo paziente e agli obiettivi di trattamento da perseguire. Le determinazioni notturne, insieme a quelle eseguite nel corso della giornata, quando sufficientemente numerose, aiutano a ripristinare la soglia di sensibilità all’ipoglicemia nei pazienti con ipoglicemia asintomatica.
Perché
Alla luce di quanto già detto il perché dell’autocontrollo glicemico diventa comprensibile a tutti. Esso è parte integrante nella cura della malattia e mira,insieme ad una combinazione di strategie quali:la terapia farmacologica individuale, una corretta alimentazione e una costante terapia motoria a proteggere il paziente dalle temute complicanze.
Componenti per il successo dell’autocontrollo
“A parità di tutti gli altri fattori, un diabetico che conosce di più la propria malattia, vive più a lungo” Elliott P.Joslin,1947
dott.ssa Maria Antonella Ferraro
l’Ipoglicemia è una delle complicanze più frequenti nel diabete.
Secondo il gruppo di studio dell’ADA (American Diabetes Association) si definisce ipoglicemia una glicemia < 70 mg/dl.
Gli ormoni contro-regolatori (il Glucagone prima e l’Adrenalina dopo) sono secreti già da una glicemia ≤ 65 mg/dl.
La sintomatologia insorge solitamente per glicemie< 55 mg/dl.
Conoscere alcuni semplici regole permette alla persona con diabete e ai propri familiari di affrontare questa situazione nel modo migliore.
Riconosci i sintomi.
Sintomi autonomini adrenergici:
- palpitazioni
- tremori
- sudorazione
- nervosismo
- fame intensa
- senso di debolezza
- diminuzione e/o annebbiamento della vista
- sintomi soggettivi
- stanchezza
- sonnolenza
- comportamento bizzarro
- confusione mentale
- difficoltà a parlare
- convulsioni
- coma
- incubi notturni
- sovradosaggio d’insulina
- sovradosaggio di farmaci ipoglicemizzanti
- pasto insufficiente/ritardato/saltato
- mancata assunzione di “spuntini”
- attività fisica intensa oppure non compensata con l’alimentazione
- assunzione di alcool a digiuno o in eccesso
- niente panico e non cominciare ad abbuffarti
- misurare la glicemia con il kit per l’autocontrollo se è possibile
- se la glicemia è inferiore a 70 mg/dl, usare la regola del 15:
Subito 15 g di zuccheri semplici
Fermarsi se si sta facendo attività fisica
Ricontrollare l’HGT dopo 15 minuti, se ancora <70 ripetere assunzione di 15 g di zuccheri.
15 g zuccheri semplici:
- 3 zollette di zucchero
- 3 caramelle zuccherate
- 4 tavolette di Enervit GT
- 2-3 bustine di zucchero da bar
- 150 cc di aranciata o coca-cola o bevande zuccherate
- 15-20 g di miele
Poiché la glicemia tende a scendere dopo un’ora bisogna dare carboidrati complessi dopo lo zucchero: 15-20 g di carboidrati complessi:
- 25-30 g di pane
- 20-25 g di fette biscottate o crackers o grissini
- 150 g di frutta ad es. mela
- 300 g di latte
Raccomandazioni:
- se hai il diabete porta sempre con te qualche bustina di zucchero e il Kit dell'autocontrollo per poter fronteggiare l’emergenza
- Se si avvertono sintomi di ipoglicemia non mettersi alla guida e, se si sta guidando, fermarsi subito! E’ consigliabile misurare la glicemia e nel caso correggila in base alle regole descritte
- In caso di ipo severa e perdita di coscienza per ipoglicemia chiamare subito il 118.
IPOGLICEMIA…BASTARDA…
del dott. Eros Barantani
T’amo pio bove;…(Giosuè Carducci)
T’amo dia…bete; e mite un sentimento – di vigore e di pace al cor m’infondi – o che solenne come un monumento – tu guardi…
Ho “amato” il diabete fin da quando ero studente universitario e durante la preparazione dell’esame di Clinica Medica il mio compagno di studi Mario ed io lo abbiamo incontrato e “amato” perché era una condizione metabolica che consentiva il ragionamento e con una terapia strettamente legata al ragionamento. Mario ed io ci siamo laureati insieme e abbiamo lavorato insieme all’Ospedale di Treviglio (provincia di Bergamo), lì sempre insieme abbiamo incontrato persone con il diabete talora all’esordio con glicemia compresa tra 600 e 1000 e molto più spesso abbiamo incontrato l’ipoglicemia, condizione clinica costantemente in agguato nella vita di persone con diabete di tipo 1: è caratterizzata da episodi a volte lievi (se corretti in tempo assumendo tre zollette di zucchero) a volte più severi, spesso “asintomatici” durante la notte. L’ipoglicemia anche se di breve durata provoca disfunzione cerebrale, gli ormoni contro regolatori vengono attivati (glucagone, adrenalina, cortisone o cortisolo, ormone della crescita, ormone tiroideo) alcuni precocemente e altri tardivamente; compaiono i sintomi (tachicardia, sudorazione, tremore, fame), la carenza di glucosio a livello del sistema nervoso centrale provoca difficoltà di pensiero, confusione mentale, vertigine, stanchezza. È importante riconoscere e prevenire una caduta nel glucosio ematico; il cervello necessita in un adulto di circa 100 g di glucosio al dì, non ossida substrati diversi dal glucosio, non è in grado di sintetizzare glucosio ed ha riserve sufficienti solo per pochi minuti. Molto insidiosa è la sua comparsa notturna (dopo anni di diabete si abbassa la soglia della percezione): il sonno è agitato e al risveglio indumenti sudati, spossatezza, stordimento, sensazione di fame, ricordo di incubi notturni devono orientare verso la presenza di ipoglicemia notturna ed è importante ragionare sul valore della glicemia a distanza dal pasto serale per eventualmente correggerla prima di coricarsi. Da qui il senso di smarrimento di fronte al tabellone del Metàplan relativo all’ipoglicemia: la perdita del controllo metabolico.
Ricordo che nel periodo di lavoro a Treviglio venne ricoverato un professore universitario del Politecnico di Milano, il più grande esperto di Aeronautica italiano, portatore di diabete di tipo 1 che per tale motivo non aveva mai potuto avere il brevetto di pilota. Era maestro del mio compagno di banco di liceo, Renato, che era diventato poi suo assistente universitario. Il Professore era un personaggio, come succede, con le sue stranezze: quando litigava con la moglie la “ricattava e minacciava” per protesta dicendo che avrebbe interrotto la terapia insulinica e la glicemia bella bella pacifica pacifica saliva fino a 700 (rischio coma nel breve termine e complicanze a distanza: retinopatia, nefropatia, neuropatia, danni vascolari). Durante il ricovero, Renato mi chiamò e mi disse che forse c’era qualcosa che non andava: al letto del paziente gli chiesi se aveva qualche disturbo e la risposta fu “sto bene, sto bene, sto particolarmente bene”, risposta apparentemente rassicurante ma incongrua in un individuo sempre disposto a mettere in discussione ogni affermazione e il responso della glicemia fu 35 (ipoglicemia molto seria).
Ecco la perdita di controllo, una assenza repentina dalla vita normale che deve rapidamente essere corretta e trasformata in presenza per evitare seri rischi; in caso di ipoglicemia da chi vorreste essere soccorsi? Dove vorreste essere portati? A casa? Al Pronto Soccorso? Qui ci siamo “incartati” e le “intemperanze rumorose” e l’eccessiva “premura” nel chiudere le riflessioni sul Metàplan da parte del gruppo ACNE rispetto alla lentezza ponderata del gruppo BOTOX non ha consentito la conclusione della discussione.
Ei fu siccome immobile…(Manzoni)… Lui non era in ipoglicemia,era già oltre
Passata è la tempesta……ecco il sereno rompe là da ponente……(Leopardi)
IPERGLICEMIA IMPREVISTA E…SHERLOCK HOLMES
del dott. Eros Barantani
Durante il soggiorno (corso di apprendimento) a Zambrone Mare è stato bello essere interpellato per trovare motivazioni e giustificazioni a un aumento della glicemia non atteso. In breve, da un lato un ragazzo studente e giocatore di calcio (attaccante) aveva presentato un valore di glicemia elevato a metà mattinata di un giorno di scuola senza aver fatto colazione e dall’altro una ragazza studentessa e giocatrice di basket (figlia di una giocatrice di basket e di un allenatore di calcio e sorella di un giocatore di basket, una famiglia immersa da sempre nello sport) che spesso presenta valori di glicemia elevata dopo l’attività fisica di allenamento o agonistica.
Spesso si dice che il medico deve trasfigurarsi in un investigatore poliziesco che raccoglie la storia clinica, interroga e visita il paziente per trovare le “prove” che portano alla diagnosi oppure alla chiarificazione del problema; non tutti i medici sono d’accordo con questa interpretazione dell’attività professionale, ma in questi due casi mi veniva affidata una ricerca della “verità metabolica” connessa all’iperglicemia.
Ecco dunque il quadro investigativo veramente particolare:
Vi è un “delitto” (l’iperglicemia).
Vi è un protagonista (il ragazzo e la ragazza) che svolgono un ruolo complesso:
sono contemporaneamente vittima e testimone, vittima perché subiscono l’iperglicemia/delitto e testimone perché interrogati devono rispondere a domande come “persone informate sui fatti” che hanno preceduto e causato l’iperglicemia
sono contemporaneamente anche imputati perché potrebbero aver commesso errori che hanno portato al delitto/iperglicemia e possono cercare più o meno consciamente di nascondere alcuni particolari “delicati”.
Vi possono essere poi dei “complici silenziosi”, quelli del famoso diabete di tipo “tre” noto solo agli addetti ai “lavori in corso” sulla glicemia (stanno “lavorando per noi” e seguono da vicino il protagonista).
Ecco tutti gli attori sulla scena del delitto, scena che subisce continuamente delle contaminazioni, e l’istruttoria procede tra molte difficoltà e considerazioni su altri protagonisti silenziosi che affiancano la “coppia regina” glicemia/insulina e si chiamano adrena Lina (impicciona sempre agitata), corti Solo o cortis One (pronto a cercare carburante per ogni tipo di lotta), tiro Xina (ormone della tiroide che accelera o rallenta in relazione alla nostra giornata attiva o passiva), somato Tropo (ormone della crescita anche se siamo già cresciuti abbastanza) senza dimenticare il principe gLuca gone.
Il medico (Derrick, Maigret, Sherlock Holmes, Colombo in relazione al caso polizio/clinico) terrà aperta l’indagine fino a che l’imputato/vittima/testimone o uno dei complici non farà un “passo falso” oppure la terrà aperta fino a che potrà raccogliere la testimonianza diretta dell’Angelo Custode del centrattacco (il goal della terapia insulinica) o della play maker (rimbalzo dopo una relativa ipoglicemia) proprio mentre la glicemia sale.
In Ospedale i collaboratori del primario raccolgono tutte le informazioni per arrivare a capo del caso clinico poi un giorno passa il primario in visita, fa una domanda e il paziente risponde fornendo informazioni che fino a quel momento erano state negate a tutti e che risultano decisive per la diagnosi corretta: l’istruttoria non finisce mai ed è necessario ritornare sempre sui propri passi senza stancarsi per scoprire la verità clinica/poliziesca.
MINIME SUPERIORI ALLE MASSIME…DELLE 7.07
del dott. Eros Barantani
Non scrivo di temperature mattutine, non parlo di attività fisica delle 7.07 ora del risveglio…motorio, non imito il training autogeno…le mie gambe sono pe…santi…, ricordo un paziente che in ambulatorio mi disse che la pressione minima era superiore alla pressione massima…impossibile…in realtà voleva indicare che a causa del grande caldo la pressione massima era diminuita a tal punto che la minima in condizioni di normalità per esempio 85 mm di mercurio era superiore alla massima di quel determinato momento e cioè di 80 mm di mercurio…quindi attenzione alle minime cioè a quelle espressioni che paiono insignificanti ma che talora hanno forza prorompente…superiore alla massime…alle affermazioni che ci paiono assolute e immodificabili.
Proverò con le massime: quale rischio maggiore si corre se si è affetti da ipertensione arteriosa?…Ictus cerebri; quale rischio maggiore si corre se si è portatori di colesterolo elevato?…Infarto miocardico; quale rischio maggiore si corre se si fuma?…Arteriopatia periferica; e quale rischio maggiore si corre se si è affetti da diabete mellito?…Tutte e sei le precedenti…Come se abbiamo citato solo tre massime? Certo ma nel caso del diabete dobbiamo ricordare anche il rischio delle minime…della microangiopatia…della retinopatia, della nefropatia, della neuropatia.
Quindi ecco le minime che potenziano le massime; se un diabetico è anche iperteso, se ha il colesterolo alto, se fuma crea una potentissima “associazione a delinquere” difficile da sgominare; tutti devono sorvegliare i valori sopra indicati anche coloro che hanno goduto finora di buona salute ma il diabetico deve avere una attenzione particolare e raffinata.
Non ci rendiamo conto ma abbiamo a disposizione una sofisticata macchina metabolica della quale abbiamo il dovere di utilizzare ed esplorare le potenzialità per poter farla funzionare al meglio; come se possedessimo una Ferrari, l’individuo senza diabete può guidarla con il pilota automatico ma deve stare attento perché se sollecita la macchina con eccessi alcolici e/o inalazioni di nicotina o di altre sostanze tossiche e/o con eccessi alimentari e/o abbandona l’addestramento a rimanere su un mezzo così potente, sbanda e rischia di mettere in grave difficoltà anche una macchina così equilibrata; dall’altro lato il diabetico ha un compito più elevato poiché non solo deve evitare gli eccessi sopra indicati ma deve dare dimostrazione di essere abile nel guidare un mezzo che può essere difficile da dominare ma che attraverso la conoscenza consente di apprezzare la bellezza funzionale di questa Ferrari, di questa meravigliosa macchina metabolica.
Ecco quindi il diabete…una malattia per ora inguaribile ma p………….curabile, dove la p sta per…poco curabile oppure…parzialmente curabile…oppure perfettamente curabile come desideriamo sia purchè il pilota abbia la patente DE di Diabetico Esperto e/o la patente DI di Diabetico Intelligente che ha imparato a conoscere il motore, a scegliere il carburante, a far funzionare il carburatore a seconda che si debba accelerare o rallentare, a riconoscere quelle condizioni nelle quali il consumo aumenta; ad avere anche al fianco un navigatore…un genitore, un amico o un’amica, un marito o una moglie… che tengano in mano le carte geografiche delle isole di Langerhans oppure quelle trasparenti dell’isola che non c’è ma che in ogni caso isole sì o isole no siano in grado di non perdersi nelle vie dei Grassi o dei Magri, nelle vie dei Dolci o dei Salati, dei Colesteroli Buoni o dei Colesteroli Cattivi…; già ma esistono i Colesteroli Buoni e i Colesteroli Cattivi?…No il colesterolo è sempre buono ed è solo buono, quello Cattivo è il Colesterolo Elevato quando presente in quantità eccessiva diventa prepotente ed aggressivo verso i guard rail o New Jersey naturali delle autostrade della circolazione…sanguigna.
Buon lavoro di Officina, buon viaggio…di andata nel futuro…
L’autocontrollo glicemico
a cura di I.P. Giusy Iacopino (Equipe Diabaino)
Come ormai risaputo il diabete Mellito è una malattia cronica e come tale,dunque, destinata ad accompagnare la persona affetta per il resto della vita. Come se non bastasse parliamo di una patologia in continua espansione: nel 2025 il diabete interesserà oltre trecento milioni di individui nel mondo intero; è tra le dieci maggiori cause di morte nei paesi industrializzati; ed i costi globali per le persone affette da Diabete sono in media 2,5 volte più alti rispetto a quelli senza diabete. La premessa sembra confortante……però in effetti i dati sono allarmanti e per farvi fronte occorre puntare su un team diabetologico che sia in grado,con un lavoro sinergico e con un linguaggio comune a tutte le figure che lo compongono,di creare un paziente consapevole e soprattutto competente. Si parte dall’autocontrollo glicemico domiciliare vero e proprio strumento terapeutico. Il termine autocontrollo viene riferito al monitoraggio della glicemia capillare ed all’interpretazione dei risultati glicemici e conseguenti interventi terapeutici volti a migliorarli che le persone con diabete devono essere educate a effettuare, in collaborazione con il personale sanitario; si tratta di una pratica indispensabile che fornisce, tanto al paziente quanto alla sua famiglia, gli strumenti adatti per:
− conseguire un adeguato compenso metabolico
− prevenire o rallentare l’insorgenza delle complicanze acute (chetoacidosi e ipoglicemia)
− prevenire o rallentare l’insorgenza delle complicanze croniche (retinopatia, nefropatia, micro e macro angiopatie.
Rappresenta, inoltre, la modalità più efficace per il controllo dell’iperglicemia post-prandiale e, quindi, per l’adozione della terapia più appropriata e personalizzata del singolo paziente. Si comprende bene come l’autocontrollo non sia soltanto uno strumento per il monitoraggio quanto invece parte integrante di un programma di educazione terapeutica e, per questo, deve essere ben strutturato. L’educazione all’autocontrollo prevede le tre famose domande: come,quando e perché.
Come
La misurazione dei livelli di glucosio avviene con l’ausilio di piccoli apparecchi elettronici, i glucometri, che analizzano in breve tempo i valori glicemici su di un piccolo campione di sangue. Sarà compito dell’infermiere insegnare al paziente la corretta tecnica di puntura del polpastrello e l’importanza di trascrivere i risultati sul diario annotando sempre la motivazione di un valore fuori target attraverso una attenta ed educata interpretazione.
Quando
La frequenza dei controlli glicemici deve essere determinata su base individuale tenendo conto del tipo di diabete e della terapia in atto proprio per poter intervenire su di essa. Il momento in cui la glicemia viene determinata, infatti, è importante: quelle dopo pranzo, dopo cena e al momento di coricarsi correlano di più con i livelli di HbA1c rispetto a quelle effettuate a digiuno,oltre e a dare conferma o meno della validità della terapia farmacologica, alimentare e motoria; La misurazione della glicemia post-prandiale va effettuata tra i 60 e 120 minuti dall’inizio del pasto ; il team di cura stabilirà l’intervallo più idoneo in relazione al quadro clinico del singolo paziente e agli obiettivi di trattamento da perseguire. Le determinazioni notturne, insieme a quelle eseguite nel corso della giornata, quando sufficientemente numerose, aiutano a ripristinare la soglia di sensibilità all’ipoglicemia nei pazienti con ipoglicemia asintomatica.
Perché
Alla luce di quanto già detto il perché dell’autocontrollo glicemico diventa comprensibile a tutti. Esso è parte integrante nella cura della malattia e mira,insieme ad una combinazione di strategie quali:la terapia farmacologica individuale, una corretta alimentazione e una costante terapia motoria a proteggere il paziente dalle temute complicanze.
Componenti per il successo dell’autocontrollo
- Motivazione
- Indicazioni semplici e chiare fornite attraverso un'efficace educazione
- Accuratezza
- Glucometri che con immediatezza forniscono dati necessari alla decisione terapeutica per una analisi efficace.
“A parità di tutti gli altri fattori, un diabetico che conosce di più la propria malattia, vive più a lungo” Elliott P.Joslin,1947

PREVENZIONE PIEDE DIABETICO
Nella struttura corporea i piedi rivestono un ruolo fondamentale,quello di sorreggerla e di farlo bene indipendentemente dalle dimensioni umane. Si capisce bene,dunque,quanto sia importante prendersene cura soprattutto quando si è affetti da una malattia cronica come il Diabete Mellito.Infatti Piede Diabetico è il nome che definisce una tra le tante complicanze di questa malattia La ridotta sensibilità agli stimoli dolorosi o la cattiva circolazione, causa di un cattivo compenso glicometabolico, possono portare alla comparsa di piccole ulcerazioni alle dita o alla pianta del piede che, se non curate in tempo, possono complicarsi fino a richiederne la amputazione.Ancora oggi,purtroppo, nonostante una coscienza medica più attenta ed i progressi tecnologici,i casi di piede diabetico non sono poi così rari.
La prevenzione resta sempre la migliore arma a disposizione della persona con Diabete , piccole “buone maniere” di vita quotidiana possono aiutare ad evitare l’insorgenza di questa complicanza. A questo punto mettiamo a disposizione del lettore piccoli e semplici accorgimenti.
- Lavare quotidianamente i piedi con acqua tiepida e sapone neutro e asciugare delicatamente ma accuratamente anche fra le dita dei piedi; utilizzare infine una qualsiasi crema ammorbidente.
- Ispezionare tutti i giorni anche la pianta del piede ,se serve aiutarsi con uno specchio.
- Tagliare le unghie con forbicine a punte smusse o meglio con lime di cartone, le unghie devono essere tenute dritte
- Usare scarpe comode e morbide, controllare lo stato di usura anche all’interno; non indossare scarpe nuove per periodi troppo lunghi
- Se compaiono lesioni contattare subito il proprio Medico o il Centro diabetologico di riferimento
- Non applicare borse di acqua calda o riscaldare i piedi appoggiandoli direttamente su fonti di calore.
- Non effettuare lavaggi o pediluvi troppo prolungati o con acqua troppo calda (verificare la temperatura con il gomito, non superiore a 37°)
- Non calzare scarpe strette, rovinate, sandali o zoccoli che possono provocare lesioni
- Non usare calze rammendate o troppo ruvide
- Non camminare a piedi nudi o su superfici troppo calde (spiaggia, bordo della piscina)
- Non tagliare le unghie da solo se si ha problemi di vista
- Non usare sostanze chimiche in presenza di calli.
E allora non ci resta che salvaguardare i nostri piedi attraverso l’educazione del singolo e della società e attraverso l’unica terapia a nostra disposizione: la prevenzione.

MALATTIE DELLA TIROIDE: EFFETTI SUL CUORE
La tiroide è la ghiandola che produce gli ormoni tiroidei (T3 e T4) ed un alterazione della sua funzione può avere conseguenze su ogni organo incluso il cuore. Le patologie tiroidee sono estremamente varie ed eterogenee. Ad esserne colpito è soprattutto il sesso femminile. Porre una corretta diagnosi, attraverso la consulenza degli specialisti endocrinologi, è di estrema importanza per trattare nel modo più appropriato la patologia e ridurre i danni cardiovascolari che da essa possono derivare.
Sia l’eccessiva funzione tiroidea (ipertiroidismo) che la ridotta funzione tiroidea (ipotiroidismo) possono provocare danni diretti ed indiretti sull’apparato cardiovascolare o possono peggiorare la situazione clinica dei pazienti con malattie cardiache preesistenti.
Quando la produzione di ormoni tiroidei non è sufficiente, si verifica una ridotta efficienza della funzione di pompa del cuore che può determinare astenia, facile affaticabilità, bradicardia, ipotensione e/o ipertensione e può nei casi più gravi determinare ingrossamento del muscolo cardiaco e/o insufficienza cardiaca. Non è infrequente, nei pazienti con ipotiroidismo, il riscontro di ipercolesterolemia. Risulta pertanto evidente come tale condizione possa provocare e/o aggravare malattie del cuore.
L’ipertiroidismo è invece caratterizzato da una eccessiva produzione di ormoni tiroidei. Ciò determina un aumento della forza di contrazione del muscolo cardiaco e della frequenza cardiaca, che si traduce in un aumento della quantità di ossigeno consumata. I sintomi e i segni cardiaci più comuni includono tachicardia, palpitazioni, ipertensione arteriosa. Inoltre, in condizioni estreme, è possibile che l’ipertiroidismo provochi o peggiori un insufficienza cardiaca. Ciò è vero soprattutto nei pazienti con cardiopatia ischemica, dove un incremento del consumo di ossigeno può contribuire ad aggravare, il già precario equilibrio metabolico.
Concludiamo questo breve articolo sottolineando l’importante relazione esistente tra le malattie della tiroide e quelle cardiovascolari.
Ne deriva che la mancata o la ritardata diagnosi della patologia tiroidea può ripercuotersi significativamente sulla funzione del cuore e viceversa e le conseguenze possono essere anche gravi (insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale, cardiomiopatia, etc..).
Al contrario, una precoce diagnosi ed un adeguato trattamento può consentirci di limitare e/o di evitare i danni.
Dott. Antonino Pardeo
TERAPIA A COSTO ZERO DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE
E’ basata su evidenze scientifiche ormai consolidate ed è identica sia in prevenzione primaria che secondaria. (Dott. Mariantonella Ferraro)
ATTIVITA’ MOTORIA quali benefici
- Fa perdere peso
- Migliora la funzionalità cardiovascolare
- Migliora la sensazione di benessere e la qualità di vita
- Aumenta la sensibilità all’insulina
- Migliora il profilo lipidico
- Controllo della glicemia
- Controllo della pressione arteriosa
- Controllo della colesterolemia e trigliceridemia
- Aumento del colesterolo HDL
- Consapevolezza dei benefici derivanti dall’attività fisica
- Autostima (confidenza nella propria capacità di praticare l’attività fisica)
- Piacere derivante dalla pratica dell’attività fisica
- Supporto da parte di familiari, conoscenti e coetanei
- Assenza di impedimenti maggiori alla pratica dell’attività fisica
Previa valutazione da parte del diabetologo
Solo le persone con diabete ben controllati possono svolgere attività motoria.
Consigli generali per il diabetico che pratica attività motoria
- ntensificare l’autocontrollo prima e dopo l’attività
- Collaborare con il diabetologo per adattare la terapia (insulina o ipoglicemizzanti orali) al fine di prevenire le ipoglicemie
- Iniziare con prudenza, possibilmente in compagnia, e aumentare con cautela l’intensità e la durata dello sforzo
Attività motoria: come?
- Mirata alle capacità e agli interessi individuali
- Tipo aerobico, evitare gli esercizi isometrici, “di resistenza”
- Durata: 20-45 minuti/sessione
- Riscaldamento: 5-10 minuti di esercizi leggeri prima dell’esercizio vero e proprio
- Frequenza: 3-5 volte a settimana
- Luogo: confortevole, climaticamente adatto, con tasso di umidità controllato
- Atmosfera psicologica: serena, possibilmente con il coinvolgimento della famiglia per aumentare la compliance
Esso aumenta la rapidità di assorbimento dell’insulina (iniezione di insulina in area addominale)
Attività sportive in corso di diabete
PROIBITE
- Di combattimento: lotta, pugilato, Judo, Karatè, football americano
- Solitarie: alpinismo, trekking, paracadutismo, immersioni subacquee, sci alpino, volo a vela o a motore, sollevamento pesi
- Pericolose: automobilismo, motociclismo, motonautica
- Atletica, ginnastica
- Baseball, calcio
- Canottaggio
- Ciclismo
- Palla: canestro, nuoto, volo
- Ping pong, sci
- Tennis, vela

TIROIDE CRONICA AUTOIMMUNE
a cura della dott.ssa Maria Cristina Campolo
La TIROIDITE CRONICA AUTOIMMUNE (o TIROIDITE DI HASHIMOTO) è la più frequente malattia autoimmunitaria, in cui la presenza di autoanticorpi diretti contro la perossidasi tiroidea (AbTPO) e contro la Tireoglobulina (AbTg) porta a infiammazione cronica e conseguente progressiva distruzione del tessuto ghiandolare tiroideo. Puo’ manifestarsi come malattia isolata o associarsi ad altre malattie autoimmuni, quali il diabete mellito tipo1, la vitiligine, la celiachia.
I sintomi della tiroidite di Hashimoto sono diversi e possono essere molto sfumati: frequentemente infatti la malattia inizia lentamente in modo che le persone colpite all’inizio difficilmente percepiscono i sintomi.
Nella sua manifestazione classica la malattia attraversa tre fasi: la prima, iniziale, in cui prevalgono i sintomi dell’ipertiroidismo (la cosiddetta hashitossicosi) la cui causa, si presume, sia la distruzione immunologica del tessuto tiroideo che conserva gli ormoni ed il conseguente improvviso rilascio. I sintomi dell’iperfunzione sono molteplici: palpitazioni (percepite anche come pulsazioni nelle orecchie che non fanno dormire), nervosismo, insonnia, calo ponderale e tendenza a sudare. Molti dei sintomi si manifestano progressivamente senza pensare ad una malattia. Solo quando l’insonnia, la sudorazione eccessiva, la diarrea, i tremori e le palpitazioni non migliorano spontaneamente si va dal medico.
La seconda fase, detta di plateau, la cui durata è variabile, è caratterizzata da una funzione normale della ghiandola. Generalmente è asintomatica, e viene scoperta casualmente nel corso di esami clinici effettuate per altre ragioni, oppure possono essere presenti i sintomi delle malattie autoimmuni (dolori muscolari e delle articolazioni, labilità del tono dell’umore, cefalea, stanchezza).
L’ultima fase, caratterizzata dall’ipofunzione ghiandolare, è caratterizzata da sintomi quali aumento ponderale, alterazioni mestruali, stipsi, intolleranza al freddo, depressione, stanchezza. La supplementazione con ormone tiroideo è necessaria per riportare il benessere fisiologico dell’organismo.
In conclusione, la tiroidite di Hashimoto è la malattia tiroidea più frequente e la più comune causa di ipotiroidismo che può associarsi anche alla presenza di noduli tiroidei. La variabilità dei sintomi e la sua estrema frequenza rende necessario lo screening, in particolare nelle persone già affette da malattie autoimmuni e in aree endemiche per la carenza di iodio.

Diabete ed attività fisica: La scelta della giusta attività.
a cura di Alessio Calabrò – Dr. In Scienze delle Attività Motorie e Sportive, Dietista
Se escludiamo alcuni testi antichi dove si annoverava la presenza di sintomi quali sete e abbondante poliuria, possiamo affermare che l’esplosione della malattia diabetica è abbastanza recente, ma con una crescita più che esponenziale.
Difatti, nella metà degli anni ’80, nel mondo le persone affette da questa patologia erano “solo” 30 milioni, nel 2005 la quota ammontava a ben 200 milioni, oggi quasi 11 anni dopo l’ultima stima il numero si è quasi raddoppiato: 360 milioni, inoltre, è stato calcolato che, entro il 2035 il numero di persone colpite da diabete si aggirerà intorno al mezzo miliardo.
Più della metà della popolazione interessata da queste cifre vive in paesi industrializzati o in via di sviluppo.
Le cause di tale crescita vertiginosa sono da attribuire alla diffusione di scorretti stili di vita: sedentarietà e dieta sregolata.
In questo articolo ci focalizzeremo su uno di questi due fattori cruciali: la sedentarietà.
Siamo fatti per muoverci, e per secoli il movimento inteso come lavoro fisico è stato fattore cardine della nostra sopravvivenza: nella preistoria i nostri antenati si spostavano continuamente alla ricerca di prede da catturare, successivamente, con lo sviluppo delle tecniche di agricoltura e di allevamento, il lavoro si spostò nei campi e nelle fattorie.
Oggi invece il lavoro fisico è stato rimpiazzato dai macchinari, e le moderne tecnologie ci garantiscono persino di fare la spesa comodamente seduti sulla poltrona di casa.
Da anni ormai endocrinologi, diabetologi, nutrizionisti consigliano ai propri pazienti di intraprendere una regolare attività fisica, in quanto essa può giocare un ruolo chiave sia nella prevenzione, sia nel coadiuvare la classica terapia farmacologica e nutrizionale: innumerevoli studi hanno infatti dimostrato che l’attività muscolare stimola l’azione dei recettori insulinici presenti sul tessuto muscolare, con conseguente maggiore captazione dell’ormone insulina da parte degli recettori stessi. Inoltre la contrazione muscolare aumenta la permeabilità della membrana muscolare al glucosio grazie all’incremento dell’attività dei trasportatori di glucosio (GLUT 4) presenti sul tessuto muscolare.
Quale tipo di attività?
L’American Diabetes Association, raccomanda di intraprendere un programma di allenamento contro resistenze che coinvolga tutti i distretti muscolari (fitness metabolico) con il fine di stimolare i recettori insulinici e l’attività dei trasportatori di glucosio (GLUT 4) presenti sul muscolo. Il suggerimento di eseguire tale pratica fisica, insieme ad un lavoro aerobico viene sottolineato anche dall’American College of Sports Medicine.
Perché non esclusivamente la camminata?
In quanto attività aerobica, la semplice camminata da sola, potrebbe nel tempo determinare un effetto di risparmio dei carboidrati, andando ad utilizzare prevalentemente gli acidi grassi, inoltre essa, coinvolge in modo quasi esclusivo la parte inferiore del corpo quindi, non garantisce la diretta stimolazione muscolare degli arti superiori e del tronco.
La giusta attività potrebbe racchiudere un programma “misto” (anaerobico e aerobico) che coinvolga tutti i distretti muscolari, della durata di circa 150 minuti settimanali, con un’intensità pari al 50-70% della FCmax, associata ad un adeguato piano nutrizionale, sempre sotto costante controllo medico e sotto la guida di personale qualificato.
ATTIVITÀ FISICA E DIABETE GESTAZIONALE
a cura di Alessio Calabrò – Dr. In Scienze delle Attività Motorie e Sportive, Dietista
La gravidanza è un avvenimento, tanto importante quanto rivoluzionario, per l’universo della donna. In questo delicato periodo, la gestante è sottoposta ad innumerevoli cambiamenti anatomici e fisiologici, che iniziano sin dai primi giorni del concepimento, terminando con il parto.
Gli adattamenti più rilevanti possono essere riassumibili in: aumento del volume sanguigno (40-50%) e della frequenza cardiaca. A livello dell’apparato locomotore possiamo notare una modifica nella postura, poiché la presenza del feto, sposta in avanti il centro di gravità con un’accentuazione della curva lombare; inoltre, a livello respiratorio, si ha un aumento del volume corrente d’aria e un lieve incremento della frequenza respiratoria.
Tutte queste modifiche fisiologiche, fino a qualche decennio fa, facevano storcere il naso alla classe medica sulla remota eventualità che, la gestante, potesse svolgere una qualsiasi tipo di attività fisica, poiché si riteneva che questa potesse ulteriormente sovraccaricare il già affaticato organismo femminile.
Tuttavia, una lunga serie di studi scientifici, hanno stravolto questo concetto, dimostrando i potenziali effetti benefici, sia per la madre che per il bambino, nel praticare una regolare e mirata attività motoria. Le linee guida, invero, sottolineano il ruolo “protettivo” dell’attività fisica nei confronti delle tante complicazioni dovute alla gravidanza, uno tra tutti, il diabete gestazionale.
Esso è una delle complicanze più frequenti che possono avvenire durante la gestazione. Infatti, in gravidanza, si instaura un meccanismo para-fisiologico in cui l’ormone lattogeno placentare, induce resistenza insulinica affinché il glucosio possa entrare con più facilità nella circolazione fetale a discapito dell’assorbimento da parte delle cellule della gestante.
Se ciò induce solo un lieve innalzamento della glicemia può essere considerato fisiologico, quando però, è troppo accentuato, e se associato agli elevati livelli di cortisolo e progesterone, può indurre appunto una complicanza come il diabete gestazionale.
Valori di riferimento
A digiuno ≥95
Dopo un’ora dal test da carico con 75 g glucosio OGTT ≥180
Dopo due ore dal test da carico con 75 g glucosio OGTT ≥153
Tab. 1 – Valori di riferimento per la diagnosi di diabete gestazionale secondo diabete.net
Il diabete gestazionale colpisce circa il 6% delle donne, se controllato, non induce grosse problematiche alla gestante e al bambino, e al termine della gravidanza tende a sparire.
Ciò nonostante la sua insorgenza può aumentare la predisposizione di contrarre, in futuro diabete di tipo II.
Praticare regolare esercizio fisico e seguire una corretta alimentazione, sono le principali raccomandazioni per migliorare il controllo glicometabolico e, per tenere sotto controllo il peso corporeo.
Alcune ricerche (1) (2) hanno riscontrato un miglioramento glicemico in donne affette da diabete gestazionale che praticavano 30 minuti di attività moderata (cyclette, lavoro a circuit training in sala pesi, camminata, ergometro a braccia, attività di fitness acquatico) per un minimo di 3 sedute settimanali con una frequenza cardiaca massima del 70%.
Un altro studio (3) ha evidenziato come praticare attività fisica controllata, durante le prime 20 settimane di gravidanza può ridurre addirittura lo sviluppo di questa patologia, e il rischio di insorgenza si riduce ulteriormente se le donne erano già attive prima della gravidanza.
Ovviamente queste linee guida generali non devono mai sostituire il consiglio del proprio medico curante. Consigliamo sempre di consultare personale esperto e qualificato qualora si decidesse di intraprendere una regolare attività fisica durante la gravidanza, la quale deve essere iniziata, dopo consenso, e sotto stretto controllo medico.
Bibliografia di riferimento:
1) Bertolotto A., Lencioni C., Volpe L., Di Cianni G. “Attività fisica e diabete gestazionale”. G It. Diabetol Metab; 27:75-81, 2007.
2) Dempsey J.C., Butler C.L., Williams M.A.; “No need or a pregnant pause: Physical Activity may reduce the occurrence of gestational diabetes mellitus and preeclampsia”. Exerc Sport Sci Rev; 33(3): 141-149, 2005.
3) Dempsey J.C., Butler C.L, Sorensen T.K., Lee I.M., Thompson M.L., Miller R.S., Frederic I.O., Williams M.A.; “A case control study of maternal recreational physical activity and risk of gestational diabetes mellitus”. Diabetes Res Clin Practice; 66:203-215, 2004
DIABETE E ATTIVITÀ FISICA
a cura della dr.ssa Maria Cristina Campolo
L’attività sportiva è uno dei cardini per il benessere psico-fisico della persona, di qualsiasi età, in quanto rinvigorisce il corpo inducendo un sensazione di benessere, contribuisce all’accrescimento armonico delle masse muscolari mantenendole efficienti e in tono, conserva l’elasticità, migliora il movimento articolare, previene l’osteoporosi, migliora l’equilibrio psichico inducendo serenità e innalzando il tono dell’umore, contibuisce a mantenere entro i limiti voluti il peso corporeo, migliora l’utilizzazione del glucosio e dei lipidi e abbassa il colesterolo del sangue facendo aumentare la frazione HDL che protegge le arterie dall’arteriosclerosi.
Tutti coloro che intendono svolgere un esercizio fisico o una attività sportiva debbono conoscere le loro condizioni di salute e provvedere ad un allenamento adeguato, perché gli esercizi e le varie attività non sono tutti uguali. Se questo non viene attuato, l’esercizio sporadico non è consigliabile, in quanto avviene su un organismo non preparato. E’ molto meglio fare un esercizio regolare, con una frequenza quotidiana o a giorni alternati. Tutto ciò ha una particolare importanza per il diabetico il quale non solo può fare esercizio fisico, ma anzi, deve farlo, più di un individuo normale.
Fino a non molti anni addietro i medici proibivano tassativamente ai giovani affetti da diabete ogni tipo di sport, con gravi ripercussioni psicologiche.
Recenti studi, invece, hanno accertato inequivocabilmente che
- Chi ha il diabete, se ben compensato, è capace di prestazioni fisiche del tutto identiche, se non superiori, a quelle dei coetanei.
- si può fare qualsiasi attività fisica, dalle corse alle gare più impegnative di livello nazionale
L’attività fisica viene, infatti, attualmente considerata, assieme alla dieta e al trattamento farmacologico, un cardine fondamentale della terapia, perché
- determina una migliore utilizzazione del glucosio
- dà la possibilità di ridurre la dose giornaliera di insulina
- abbassa i grassi del sangue (colesterolo e trigliceridi)
In condizioni di riposo o di attività di moderata intensità il muscolo utilizza principalmente l’energia derivata dalla combustione dei trigliceridi. In condizioni di lavoro intenso e prolungato, almeno per le prime due ore di attività, il muscolo utilizza l’energia prodotta dal glucosio.
Per attività intensa di maggiore durata, una volta esaurite le riserve di glicogeno, la contrazione può continuare soltanto a spese dei trigliceridi.
Elemento fondamentale del lavoro muscolare è l’ossigeno. L’organismo durante lo sforzo fisico incrementa l’attività del cuore e dei polmoni allo scopo di fornire ai tessuti tale elemento nella quantità necessaria.
Per sforzi molto intensi (esercizi anaerobici), può verificarsi che i meccanismi di compenso messi in atto dall’organismo non siano sufficienti a soddisfare la richiesta di ossigeno: ne consegue che il glucosio non può essere bruciato completamente, ma può essere scisso soltanto fino allo stadio di “acido lattico” liberando solamente una minima parte dell’energia in esso contenuta. Infatti, mentre la scissione del glucosio fino a questo composto può avvenire anche in assenza di ossigeno, la combustione completa fino ad acqua ed anidride carbonica non può avvenire senza di questo.
Nell’ attività muscolare piuttosto intensa, si forma acido lattico, che, non potendo essere bruciato per la carenza di ossigeno, si accumula nei tessuti ed è responsabile del senso di stanchezza e dei dolori muscolari che noi tutti abbiamo provato dopo un esercizio fisico piuttosto impegnativo.
La presenza di acido lattico nei muscoli, quindi, determina una intossicazione delle cellule, che si traduce nella sensazione di fatica muscolare. Un segnale per il nostro cervello di graduale eccessiva fatica, in un processo energetico nel quale non siamo sufficientemente allenati.
La rimozione dell’acido lattico può avvenire soltanto al termine della prestazione sportiva, quando l’apporto di ossigeno ai vari tessuti diventa sufficiente a completare l’ossidazione di questo composto fino ad acqua ed anidride carbonica. Dalla combustione del glucosio e dalla completa ossidazione dell’acido lattico si ottiene l’energia necessaria per ripristinare le riserve di glicogeno.
Per questo motivo il consumo di ossigeno si mantiene elevato ancora per un certo periodo di tempo dopo la cessazione dell’attività muscolare.
La ricostruzione del glicogeno consumato durante l’attività muscolare avviene in circa 12-14 ore.
Il glucosio quindi è una sostanza di estrema importanza per il nostro organismo e il suo livello nel sangue deve essere mantenuto entro limiti precisi.
A determinare l’esatto equilibrio entro tali limiti sono,
- l’insulina (consente la penetrazione nelle cellule del glucosio che può essere quindi utilizzato per produrre l’energia necessaria sia per la contrazione muscolare, sia per la sintesi del glicogeno. Ne consegue un abbassamento della glicemia),
- il glucagone (secreto dalle cellule alfa delle isole pancreatiche provoca la scissione del glicogeno epatico producendo glucosio , quindi aumentando la glicemia),
- l’adrenalina (secreta dalla midollare del surrene, stimola la scissione del glicogeno epatico e muscolare con conseguente aumento della glicemia),
- l cortisolo (secreto dalla corteccia surrenale stimola la formazione di nuove molecole di glucosio dalle proteine; in tal modo esso consente di mantenere entro limiti fisiologici la glicemia durante il digiuno prolungato).
Per chi ha il diabete (in particolare l’Insulino-dipendente) le cose vanno in modo diverso, in quanto possono avvenire diversi cambiamenti del livello del glucosio nel sangue e in quanto l’apporto insulinico viene deciso dalla persona: è necessario infatti che questi insulina, glucagone e cortisolo siano in equilibrio perfetto prima e durante l’attività fisica.
L’insulina, che funge da messaggero e che ordina al glucosio di trasferirsi dal sangue in cui si trova all’interno delle singole cellule ai muscoli, diciamo che viene maggiormente stimolata dall’esercizio fisico facilitando questo passaggio, sempre che esista insulina in quantità sufficiente.
Per prima cosa sarebbe bene programmare l’attività fisica sia nella durata che nella intensità.
E’ necessario infatti accertarsi dell’esistenza di un buon stato di compenso 1 ora prima dell’esercizio fisico.
Per semplificare al massimo il problema immaginiamo che il diabetico, allorché inizia una attività fisica si trovi in tre situazioni diverse:
1 – GLICEMIA INFERIORE A 100 mg/dl
L'insulina iniettata è in buon equilibrio. Tuttavia la minima attività muscolare in queste condizioni rischia di scatenare una condizione di ipoglicemia con la comparsa dei tipici segni di sofferenza cerebrale
- stanchezza estrema
- stato di ansia e irrequietezza
- difficoltà alla concentrazione
- confusione mentale
- incoordinazione dei movimenti
- torpore
2 – GLICEMIA SUPERIORE A 300 mg/dl
L'insulina iniettata è inferiore a quella richiesta per ridurre illivello di glicemia oppure che i pasti sono eccessivi o emozioni hanno aumentato il fabbisogno di insulina.
L’iperglicemia indica che una certa quota di glucosio non può essere utilizzata.
Compiere un’attività in queste condizioni può essere pericoloso; infatti la mancanza dell’insulina non permette al glucosio di penetrare nelle cellule e, quindi, viene a mancare il carburante per l’attività muscolare.
L’organismo deve allora utilizzare i grassi del tessuto adiposo. Si ha una scissione degli acidi grassi, ma questi non possono essere bruciati completamente se manca la combustione del glucosio. La scissione degli acidi grassi si arresta allo stadio di composti intermedi che sono i corpi chetonici. Questi si accumulano nel sangue ove, essendo acidi, sono responsabili della cheto-acidosi, tipica dello scompenso diabetico.
3 – GLICEMIA COMPRESA TRA 110 -200 mg/dl
Si tratta di una situazione più o meno soddisfacente che consente l’attuazione dell’attività fisica, pur con qualche attenzione per evitare l’insorgenza dell’ipoglicemia.
Infatti per l’effetto dell’esercizio muscolare, anziché avere una diminuzione dell’insulina circolante , può verificarsi un aumento della stessa a causa di un suo più rapido assorbimento dai tessuti allorché l’iniezione sia stata fatta sugli arti direttamente interessati dall’esercizio fisico.
A questo punto è consigliabile avere con se sempre una piccola scorta di materiale energetico.
Per affrontare l’esercizio fisico al meglio, oltre a determinare la glicemia, è necessario conoscere sia il tipo di allenamento che si sta per eseguire, sia la durata dell’esercizio.
Per quanto riguarda il tipo di allenamento, gli sport si distinguono in base alla capacità dei muscoli di “bruciare” il glucosio in presenza o in carenza di ossigeno in “aerobico” e “anaerobico”. Nel primo caso il glucosio sarà “bruciato” completamente fornendo molta energia e senza lasciare scorie (metabolismo ecologico ed economico). In caso di esercizi svolti con metabolismo prevalentemente anaerobico invece il glucosio sarà “bruciato” solo in parte, producendo poca energia e una scoria chiamata acido lattico che “intossica” i muscoli e che potrebbe determinare iperglicemia.
Naturalmente gli sport più adatti a chi ha il diabete sono quelli aerobici, specie se effettuati a media intensità in modo da “allenare”, ma non affaticare il cuore.
SPORT AEROBICI | SPORT ANAEROBICI |
---|---|
Jogging | Calcio |
Corsa lenta | Tennis |
Sci di fondo (lento) | Pallavolo |
Nuoto (lento) | Basket |
Ciclismo (lento, in piano) | Sci alpino |
Danza aerobica | Hoskey |
Pattinaggio | Ciclismo su pista, corse brevi veloci |
Una volta stabilito il tipo di allenamento, e misurata la glicemia per capire se è necessario fare qualche intervento, occorre poi stabilirne la durata, perché a seconda che si tratti di un esercizio di breve, media oppure lunga durata il provvedimento da prendere sarà diverso, tenendo ben presente che il pericolo numero uno dello sportivo con diabete è l’ipoglicemia
. Se l’attività è di BREVE DURATA: spesso non è necessario alcun accorgimento prima di questa se non quello di misurare la glicemia al termine e dopo 2 ore. Se la glicemia tende a scendere occorre fare uno spuntino.
Se l’attività è di MEDIA DURATA: (partita di tennis, di calcio, di hockey, ecc.): assumere prima di questa un supplemento calorico sotto forma di glucidi a pronta utilizzazione. Al termine, può essere necessario un piccolo spuntino per prevenire l’ipoglicemia che potrebbe verificarsi per la restaurazione delle riserve di glicogeno.
Se l’attività è di LUNGA DURATA: è opportuno, oltre allo spuntino pre-gara, un supplemento di glucidi durante l’attività (succhi di frutta zuccherati, cioccolato, merendine, ecc.) nella quantità equivalente a 20-40 g. di glucosio all’ora, a seconda dei casi.
Riassumendo:
- Non fare attività fisica se la glicemia è maggiore di 300 mg %; o se maggiore di 250 mg% ma con presenza di chetonuria o se è minore di 80mg% se si è in terapia con farmaci ipoglicemizzanti (orali o insulina).
- Iniziare l’attività fisica solo se si è in buon compenso, perchè, se non ben condotta, può aggravare la malattia e favorire complicanze
- Il programma di attività fisica deve essere iniziato con prudenza e proseguire con graduali aumenti.
- Iniziare ogni allenamento con una fase di riscaldamento e terminare con una fase di raffreddamento (defaticamento) di almeno 5 minuti
- Fare stretching (allungamento muscolare) e, salvo controindicazioni, attività aerobica 3-5 volte alla settimana.
- Segnare in un diario l’allenamento praticato e la sensazione soggettiva di sforzo fisico provato.
- Fissare gli obiettivi realistici ed eventualmente modificarli in base alle condizioni psicofisiche.
- Imparare a fare l’autocontrollo della glicosuria, della chetonuria/chetonemia e della glicemia, soprattutto quando si pratica terapia farmacologica (insulina o antidiabetici orali)
- In caso di terapia con insulina e antidiabetici orali controllare sempre la glicemia prima e dopo l’esercizio fisico e, se l’allenamento è lungo, anche durante.
- Regolare l’alimentazione e la terapia insulinica in funzione dell’intensità e della durata dell’allenamento previsto, in accordo con il diabetologo.