Diabete Mellito: aspetti psicologici
Quando una persona si trova di fronte alla diagnosi di diabete ha una reazione di sgomento che arriva a toccare la paura. L’immagine di un futuro buio si disegna chiara nella mente. Uno choc non indifferente; in un attimo arrivano alla mente tutte le “dicerie”, le voci, che da sempre vivono e corrono attorno alla malattia. Luoghi comuni dell’ignoranza che dipingono la malattia con tutte le tinte fosche della maledizione; immagini che denunciano la presenza, ormai inaccettabile, di una grossa ignoranza che impera sulla conoscenza della malattia. Se l’ignoranza fosse alimento, nel mondo non ci sarebbe più la fame.
Il primo obiettivo, la prima difficoltà da affrontare è rompere il muro delle paure attraverso una corretta informazione sulla malattia, la sua origine, le possibili cause. In maniera altrettanto semplice è quindi necessario informare la persona sulle cure e le metodiche. Infine indicare come e quanto incide la malattia sulla vita quotidiana: studio, lavoro, amici, hobby, tempo libero, abitudini alimentari etc.
Una corretta informazione, basata sui dati della ricerca scientifica e sostenuta da testimonianze reali permette di affrontare le reazioni emotive in maniera completamente diversa al punto da riuscire a contenerle.
Sfrondate le paure dai terribili luoghi comuni la persona inizia con molta serenità un processo di avvicinamento a nuove abitudini di vita ed autogestione che, in fondo, non sono poi così complesse.
Non mi è mai piaciuto il ritornello di alcuni medici: “devi convivere con la malattia”. Chi caspita mai sceglierebbe di andare a scegliersi per compagna una malattia? E’ una forma che suona molto passiva che ha il gusto, pessimo, della rassegnazione. La persona invece deve imparare a gestire al meglio la malattia per essere in condizioni di soddisfare il più possibile le proprie esigenze. Ottenere il massimo di adattamento nel vero senso del termine psicologico; come per tutte le persone.
Paradossalmente, aggiungo, la persona che impara a gestire il diabete in fondo non fa altro che adottare uno stile di vita sano che migliora la sua condizione generale. Cosa che molti altri non fanno. Dovrebbe essere compito di ognuno prendersi cura del proprio stile di vita e non pensare solamente, una volta l’anno, alla “prova costume” per tornare in riga – o in linea – con la nostra personalità.
Tornando al nostro tema: la diagnosi genera reazioni emotive che possono variare, oscillare, da lievi o moderate a quelle più serie raffigurabili, in genere, come risposte allo stress: dalla tensione nervosa alla malinconia; dall’ansia al disturbo del tono di umore, dalla collera all’isolamento e fuga dagli altri. Un ventaglio di reazioni legittime, naturali, che necessitano di essere affrontate e risolte in quanto, a lungo andare, possono degenerare in forme più gravi o funzionare da catalizzatore della malattia diabetica.
La sfera psicologica dell’individuo necessita di un sostegno adeguato non solo per attutire “il colpo” e metabolizzare l’evento diabetico ma soprattutto per evitare che si possano avviare processi psicologici in grado di smontare la propria immagine e minare la propria autostima. Non è raro che un soggetto maturi, lentamente e inconsapevolmente, la convinzione di essere diverso, di essere un ostacolo ai programmi di vita del partner, di rappresentare un peso per la famiglia, un limite e non poter avere una vita normale. Di pensare di creare un rallentamento al gruppo cui vorrebbe appartenere e quindi sceglie di isolarsi incominciando a odiare le relazioni per paura di suscitare pietà. Talvolta capita che anche le persone che mostrano di minimizzare il problema e di saperlo affrontare, spesso, intimamente, non lo dimenticano e “macinano” pensieri che non vengono mai partecipati ed azzerati. Col tempo il paziente diventa silenzioso consumandosi lentamente da dentro senza accorgersi, quasi, di niente.
Il problema a questo punto si alimenta, si amplifica. L’autostima cade a livelli bassi producendo inadeguatezza esistenziale che favorisce l’abbassamento delle difese immunitarie naturali. L’isolamento sociale e familiare viene accentuano diventando stile di vita; la sensazione di esclusione e di emarginazione prende il sopravvento.
Ecco perché abbiamo formato un Team diabetologico in grado di affrontare la malattia da diversi punti di vista, di forza, per meglio affrontarla e contenerla. Non è più possibile, né immaginabile, pensare di non considerare, sottovalutare o limitare l’importanza della componente sociale e psicologica del paziente. Bisogna considerare e valutare i dubbi, le paure, i timori, le preoccupazioni, i giudizi e tutte le ansie che ne derivano. E’ umano e come tale da considerare ed educare. Nessuno nasce educato tantomeno ad affrontare le malattie. Bisogna imparare.
L’educazione terapeutica ha lo scopo di mettere al centro del rapporto la relazione del paziente con la malattia, con gli specialisti e soprattutto con l’intero ambiente sociale. Concludo citando i risultati di una recente indagine sperimentale: è stata riscontrata una grossa correlazione tra una serie di miglioramenti dei parametri fisiologici della malattia (per es. HbA1c) con una efficace comunicazione fra team diabetologico e paziente. Inoltre è stato registrato un evidente miglioramento dello stato emotivo, tono dell’umore, e della qualità generale di vita della persona con diabete.
Questo è il nostro augurio.
di Renato Gentile
* Università degli Studi di Parma