Una scatoletta di plastica impiantata sottocute nella schiena, riempita di cellule staminali factotum ‘allevate’ per diventare fabbriche di insulina potenzialmente in grado di sostituire le funzioni del pancreas che mancano ai pazienti con diabete di tipo 1: circa il 10% del totale. E’ la nuova frontiera contro la forma giovanile della malattia del sangue dolce, fra i temi sotto i riflettori al 26° Congresso nazionale della Società italiana di diabetologia (Sid), in corso a Rimini. Un ‘eldorado’ inseguito anche dagli scienziati in prima linea nel nostro Paese, dove entro fine 2016 dovrebbe sbarcare una sperimentazione internazionale che testerà la cura nell’uomo. Una decina i pazienti che si punta a coinvolgere in Italia.
“Nella ricerca sul diabete 1 esiste un’ampia area in sviluppo, legata alle terapie cellulari con STAMINALI embrionali – spiega all’AdnKronos Salute Lorenzo Piemonti, vicedirettore del Diabetes Research Institute (Dri) dell’Irccs San Raffaele di Milano e coordinatore del Gruppo di studio Sid sulla medicina rigenerativa in diabetologia, presente al summit romagnolo con il suo team per illustrare il presente e il futuro di questo filone di studi – Una sperimentazione internazionale di fase clinica I-II (sicurezza e prime valutazioni di efficacia) è partita in California, ha raggiunto il Canada e dovrebbe arrivare per la prima volta in Europa entro fine anno, sostenuta da finanziamenti Ue già approvati. Coinvolgerà Bruxelles e Milano con il Dri San Raffaele“.
Gli scienziati di via Olgettina auspicano che le valutazioni sul protocollo, che saranno anche di natura etica, considerata la derivazione embrionale delle cellule utilizzate, permettano di partecipare al trial effettuando impianti anche in Italia. “In ogni caso noi ci saremo. Siamo infatti impegnati clinicamente anche a Bruxelles“, precisa Piemonti che ha un incarico di guest professor alla Vrije Universiteit. “Il trial – riferisce il ricercatore – impiega una linea di STAMINALI embrionali pluripotenti derivate nel 2000 negli Stati Uniti, sulla quale è stato messo a punto un protocollo che permette di ricavare precursori delle cellule beta-pancreatiche produttrici di insulina. Questi precursori vengono inseriti in un piccolo contenitore di plastica che viene quindi impiantato sottocute, tendenzialmente nella schiena“. Una volta introdotte nel corpo del paziente, che non viene sottoposto ad alcuna terapia immunosoppressiva anti-rigetto né alla somministrazione di altri farmaci, “l’idea è che possano maturare, produrre insulina e liberare l’ormone controlla-zuccheri nella circolazione sanguigna. Questa è l’ipotesi“.
In attesa di verificarla, la comunità internazionale di scienziati impegnati in questi studi si prepara a “un appuntamento storico. Dal 18 al 20 settembre – annuncia Piemonti – è in programma ad Harvard negli Usa un workshop che abbiamo contribuito a organizzare, e che riunirà tutti i ricercatori del mondo attivi sul fronte della terapia cellulare contro il diabete di tipo 1“. “E’ la prima volta che succede e sarà un’occasione unica per fare il punto sul presente e definire una strategia globale per il futuro. L’obiettivo è stilare linee guida e creare sinergie che consentano di accorciare i tempi della fase sperimentale. Si pensi infatti che, dalla prima scoperta biologica delle promesse di questo approccio in vitro al primo paziente trattato, sono passati circa 13 anni“, sottolinea.
Nel frattempo non sono mancate novità che potrebbero contribuire a velocizzare la ricerca bypassando vari ostacoli tecnici ed etici. La principale è la scoperta delle cellule STAMINALI pluripotenti indotte, le iPs ottenute ringiovanendo cellule adulte fino allo stadio di ‘bambine’, che nel 2012 hanno fruttato il Premio Nobel per la Medicina al giapponese Shinya Yamanaka. Ora l’obiettivo è ‘metterle in banca’, a disposizione degli scienziati del Vecchio continente. “Un gruppo di cui facciamo parte ma che è guidato da Marc Turner, nella rete di studiosi che nel 1996 partecipò alla clonazione della pecora Dolly in Scozia – continua il vicedirettore del Dri San Raffaele – ha sottoposto alla Commissione europea una richiesta di finanziamento per produrre una Banca di iPs alla quale potrebbero attingere gli scienziati di tutta Europa, attivi in diversi campi di ricerca“.
Alla platea di esperti riunita per il meeting della Sid, Piemonti ripropone anche il “paradosso” già denunciato nell’ottobre scorso, in occasione del Congresso ‘Panorama Diabete’ della società scientifica: la questione kafkiana dei rimborsi per il trapianto di isole pancreatiche nelle persone con diabete 1 non trattabili con la normale terapia insulinica. “In Italia un codice Drg per questo trattamento esiste – ricorda il ricercatore – ma di fatto è un ‘numero vuoto’ perché non ha un corrispettivo economico. Il paziente ha un’esenzione per lo screening e i controlli di follow-up come per qualsiasi tipo di trapianto, però in concreto non vengono coperte le spese per la preparazione del materiale cellulare, l’ospedalizzazione e l’infusione. Oltre al danno economico per la struttura che esegue il trapianto, questo ci penalizza molto anche nella gara internazionale per l’assegnazione di fondi di ricerca“.
Eppure in questo campo la Penisola vanta una posizione di leadership. “Siamo uno dei Paesi ad avere sviluppato un’eccellenza scientifica e clinica – rivendica l’esperto – Il San Raffaele, per esempio, è uno dei centri con il più alto volume di trapiantati al mondo: circa 200 dal 1989, e ormai viaggiamo al ritmo di una ventina di infusioni all’anno. Siamo sul podio nel mondo, tra il secondo e il terzo gradino, e non abbiamo ancora un Drg dedicato. Vorremmo che il rimborso fosse lo stesso previsto per il trapianto di pancreas, perché l’indicazione terapeutica è la stessa“. Ma la Sid segnala anche la difficoltà a individuare l’interlocutore giusto: non è ancora chiaro chi debba occuparsene, se lo Stato o le Regioni. La situazione, analizza Piemonti, è variegata anche fuori confine. “In Inghilterra, in Svizzera e in Canada il trapianto di isole pancreatiche è già considerato uno standard terapeutico, riconosciuto e rimborsato. In Francia si sta ancora discutendo, mentre negli Stati Uniti un consorzio nordamericano ha appena pubblicato uno studio di fase III che verrà sottoposto alla Fda per chiedere la registrazione della procedura. Il lavoro – conclude lo scienziato – dimostra che il trapianto di isole è capace di correggere il diabete di tipo 1 incontrollabile con la classica terapia insulinica. Indipendentemente dal fatto che possa o meno far raggiungere l’isulino-indipendenza, è in grado di guarire il diabete instabile“.